Se le scelte del Governo, all’atto della presentazione della finanziaria nell’autunno dello scorso anno, potevano contenere i presupposti di una linea politica ed i comportamenti conseguenti ad una strategia e quindi una logica, l’atteggiamento sulle pensioni della maggioranza e dei massimalisti neo comunisti questa logica non l’ha. Le politiche sociali hanno bisogno di risorse economiche e le scelte solidali non hanno carattere di investimento e non producono ricchezza e non si autofinanziano.
Non è una questione di riformismo o di lotta delle classi più bisognose per la crescita delle politiche del bisogno. I costi del superfluo o del privilegio riducono le risorse per tutto il resto e non è possibile aumentare ancora e a dismisura la pressione fiscale. Se l’abolizione dello scalone previdenziale produce risparmi a regime per 9 miliardi l’anno, senza creare poi questi grossi disagi ai lavoratori, tre anni di lavoro in più fanno anche aumentare il peso dell’indennità di pensione, non si capisce il braccio di ferro dei sindacati e della sinistra alternativa. Non lo si capisce se non nella considerazione del nesso con una questione smaccatamente ideologica.
La domanda da porsi è se sia possibile che in Italia debba prevalere, o abbia ancora spazio e credibilità, una politica che si attorciglia intorno a questioni ideologiche. Il carattere conservatore e anacronistico delle istanze dei neocomunisti è tale da fermarsi alla valutazione di fenomeni vecchi e stantii. Posizioni ideologiche veteromarxiste che passavano nella disinformazione dei partiti comunisti degli anni dal sessanta all’ottanta del secolo scorso.
I lavoratori dipendenti “usurati” ed i pensionati, secondo gli studi degli artigiani di Mestre per il 2003, ma oggi le cose non sono cambiate di molto, sviluppavano il 65% del lavoro nero, per ben 200 miliardi di Euro di redditi non dichiarati, su 311 miliardi complessivi. Se poi si conviene che cento miliardi corrispondevano al fatturato evaso delle attività illegali e criminali, solo 11 miliardi di euro era nel 2003 la somma dei redditi non dichiarati dai possessori di partita IVA. I dati dell’ISTAT dello stesso periodo ci dicono che ammontavano a ben 2.600.000 i lavoratori dipendenti che svolgevano il secondo ed anche il terzo lavoro in nero.
E’ tra i lavoratori “usurati”, difesi dai sindacati e dalla sinistra massimalista, che si sviluppano quindi i redditi a nero e le maggiori evasioni fiscali. Nessuna politica di lotta all’evasione, che prescinda dall’abbattimento di questo fenomeno, potrà quindi offrire le risorse necessarie per finanziare il baratro di spesa che i costi della previdenza rappresentano. Le manovre, pertanto, che dovranno pur esserci, per coprire i maggiori costi della previdenza, cresciuti per accontentare Giordano ed Epifani, si tradurranno soltanto nell’aumento della pressione fiscale soprattutto verso coloro che le tasse le pagano già: imprese, lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti. Il “Ragno” di Visco ha già predisposto gli strumenti per spremere il popolo bue oltre ogni misura e se si continua così fino all’inevitabile asfissia della nostra economia.
Nel frattempo buona parte dei 2.600.000 lavoratori dipendenti con un secondo ed un terzo lavoro, percepiranno la pensione a 57 anni e potranno continuare a svolgere con più tempo a disposizione, e quindi con l’aumento del giro d’affari, il lavoro sommerso, togliendo spazio anche all’occupazione dei giovani ed ipotecando le risorse previdenziali delle nuove generazioni.
Durante la campagna elettorale per le elezioni politiche dello scorso anno, la sinistra aveva gridato al disastro dei conti pubblici, alle falle nella contabilità dello Stato, al disavanzo ed all’allargamento del deficit oltre i limiti dei parametri di Maastricht, e la finanziaria presentata nell’autunno dello scorso anno rifletteva questi principi con lo scopo di scaricare sul precedente governo le lamentele degli italiani e nello stesso tempo far cassa.
Saranno ora le necessità economiche, per far fronte all’aumento della spesa, e le manovre per contenere il deficit che non potranno che rendere necessario un ulteriore inasprimento fiscale. Le imprese e lo sviluppo, l’occupazione e gli investimenti cederanno il passo alla cecità ed alla demagogia di Diliberto, Pecoraro e Giordano ed al sindacalpopulismo di Angeletti, Epifani e Bonanni.
Non è una questione di riformismo o di lotta delle classi più bisognose per la crescita delle politiche del bisogno. I costi del superfluo o del privilegio riducono le risorse per tutto il resto e non è possibile aumentare ancora e a dismisura la pressione fiscale. Se l’abolizione dello scalone previdenziale produce risparmi a regime per 9 miliardi l’anno, senza creare poi questi grossi disagi ai lavoratori, tre anni di lavoro in più fanno anche aumentare il peso dell’indennità di pensione, non si capisce il braccio di ferro dei sindacati e della sinistra alternativa. Non lo si capisce se non nella considerazione del nesso con una questione smaccatamente ideologica.
La domanda da porsi è se sia possibile che in Italia debba prevalere, o abbia ancora spazio e credibilità, una politica che si attorciglia intorno a questioni ideologiche. Il carattere conservatore e anacronistico delle istanze dei neocomunisti è tale da fermarsi alla valutazione di fenomeni vecchi e stantii. Posizioni ideologiche veteromarxiste che passavano nella disinformazione dei partiti comunisti degli anni dal sessanta all’ottanta del secolo scorso.
I lavoratori dipendenti “usurati” ed i pensionati, secondo gli studi degli artigiani di Mestre per il 2003, ma oggi le cose non sono cambiate di molto, sviluppavano il 65% del lavoro nero, per ben 200 miliardi di Euro di redditi non dichiarati, su 311 miliardi complessivi. Se poi si conviene che cento miliardi corrispondevano al fatturato evaso delle attività illegali e criminali, solo 11 miliardi di euro era nel 2003 la somma dei redditi non dichiarati dai possessori di partita IVA. I dati dell’ISTAT dello stesso periodo ci dicono che ammontavano a ben 2.600.000 i lavoratori dipendenti che svolgevano il secondo ed anche il terzo lavoro in nero.
E’ tra i lavoratori “usurati”, difesi dai sindacati e dalla sinistra massimalista, che si sviluppano quindi i redditi a nero e le maggiori evasioni fiscali. Nessuna politica di lotta all’evasione, che prescinda dall’abbattimento di questo fenomeno, potrà quindi offrire le risorse necessarie per finanziare il baratro di spesa che i costi della previdenza rappresentano. Le manovre, pertanto, che dovranno pur esserci, per coprire i maggiori costi della previdenza, cresciuti per accontentare Giordano ed Epifani, si tradurranno soltanto nell’aumento della pressione fiscale soprattutto verso coloro che le tasse le pagano già: imprese, lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti. Il “Ragno” di Visco ha già predisposto gli strumenti per spremere il popolo bue oltre ogni misura e se si continua così fino all’inevitabile asfissia della nostra economia.
Nel frattempo buona parte dei 2.600.000 lavoratori dipendenti con un secondo ed un terzo lavoro, percepiranno la pensione a 57 anni e potranno continuare a svolgere con più tempo a disposizione, e quindi con l’aumento del giro d’affari, il lavoro sommerso, togliendo spazio anche all’occupazione dei giovani ed ipotecando le risorse previdenziali delle nuove generazioni.
Durante la campagna elettorale per le elezioni politiche dello scorso anno, la sinistra aveva gridato al disastro dei conti pubblici, alle falle nella contabilità dello Stato, al disavanzo ed all’allargamento del deficit oltre i limiti dei parametri di Maastricht, e la finanziaria presentata nell’autunno dello scorso anno rifletteva questi principi con lo scopo di scaricare sul precedente governo le lamentele degli italiani e nello stesso tempo far cassa.
Saranno ora le necessità economiche, per far fronte all’aumento della spesa, e le manovre per contenere il deficit che non potranno che rendere necessario un ulteriore inasprimento fiscale. Le imprese e lo sviluppo, l’occupazione e gli investimenti cederanno il passo alla cecità ed alla demagogia di Diliberto, Pecoraro e Giordano ed al sindacalpopulismo di Angeletti, Epifani e Bonanni.
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