Alla mia età i sogni più che nei sospiri si avvolgono in manti di buon senso.
Il mio sogno di una notte di mezza estate si riempie così di speranze e di angosce.
Mi scuserà dalla tomba Shakespeare, ma l’intreccio da commedia fantasiosa e complessa della sua nota opera teatrale mi sembra lo scenario adeguato ad una storia surreale che dura da venti anni e che il buon senso vorrebbe che si concludesse con il classico buon fine.
Oggi o tutt’al più domani dovrebbe chiudersi la storia giudiziaria sui diritti tv di Berlusconi. Mediaset è accusata di frode fiscale. Vero o falso non si saprà mai, non esistendo alcuna prova, neanche indiziaria, di questa accusa.
Se fosse però vero il reato di evasione fiscale, resterebbe il dato che dal 1994 Berlusconi non ha più alcun incarico nelle aziende da lui fondate, essendo, con la sua famiglia, solo l’azionista di maggioranza del Gruppo del Biscione. Esistono, al contrario, sentenze emesse dalla Corte di Cassazione che hanno stabilito, per ben due volte, l’estraneità del leader del centrodestra alla gestione di Mediaset.
Sulla scorta di questo processo, il Tribunale di Milano ha adottato due condanne durissime, in primo e secondo grado, come se il Tribunale nel giudicare non avesse avuto alcun dubbio sulla colpevolezza dell’ex premier: due condanne di gran lunga spropositate, rispetto alla precedente esperienza giudiziaria italiana per i reati di evasione fiscale.
Mancando prove e indizi ci troveremmo ancora una volta dinanzi all’assunto del “non poteva non sapere” che vale per alcuni casi e per altri no, a seconda dell’imputato e dei riti, quasi “privati”, di alcuni uffici giudiziari d’Italia.
Non mi soffermerò oltre, però, sui fatti che con contrapposte ricostruzioni appaiono su tutti i giornali ricchi di particolari e di ricostruzioni, controversi e interpretati a uso e consumo del target dei lettori e delle differenti linee editoriali e lobbistiche.
Solo un’amara riflessione che non si può sottacere: dopo l’allenatore della nazionale di calcio, quella d’ergersi a giudice, pratica alimentata da alcuni giornalisti manettari e da alcuni conduttori-sceneggiatori televisivi, è diventata la seconda aspirazione di milioni d’italiani.
Nella notte di mezza estate, bollente e umida di scirocco, ho sognato che i giudici della Corte di Cassazione, caricatisi d’un moto d’impeto, si soffermassero sulla Giustizia italiana imponendosi di darne dignità; respingessero, annullandole, le due sentenze per consentire che anche in Italia il confronto politico riprendesse come in una normale democrazia liberale.
Ho sognato che dopo l’esperienza vissuta, le forze politiche democratiche prendessero coscienza del corto circuito che si sta creando nel Paese, per effetto d’una parte della magistratura che prevarica il proprio ruolo costituzionale per intimidire, invadere, stabilire, scegliere e affermare principi etici ed ideologici che niente hanno a che fare con la normale gestione della Giustizia.
Ho sognato che si prendesse coscienza delle difficoltà e che per amor di Patria si deponessero le armi per stabilire in modo serio, e senza ipocrisie, quali siano le soluzioni.
In Italia, inaffi, c’è chi vive negli agi, perché privilegiato da un sistema in cui le caste e la burocrazia assorbono, consumano e sprecano le risorse di tutti, e c’è la povera gente che perde il lavoro o non ce la fa ad arrivare alla fine del mese.
In Italia c’è chi parla dei diritti dei gay e vorrebbe l’introduzione dei reati di opinione, anticamera dei regimi autoritari, e ci sono bambini denutriti e abusati e donne violentate.
Ho sognato, così, che dopo questo processo continuo alle scelte degli elettori, la nostra classe dirigente si accorgesse della necessità delle riforme, Giustizia per prima.
Ho sognato che decadessero tutti gli altri processi messi in piedi, in giro per l’Italia, come atti complementari allo scontro politico. Ruby compreso.
Ho sognato una moratoria per le farse e per le ipocrisie.
Poi ho pensato ai personaggi della politica italiana, alla sua classe dirigente, ho pensato ai giornalisti, ho pensato ai magistrati e mi è venuta l’angoscia.
Vito Schepisi
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