Anche in Puglia la Cgil ha prodotto uno sforzo organizzativo notevole.
L’obiettivo era portare in piazza, a Bari, una decina di migliaia di persone. Sul fatto che ci si sia riusciti o meno, come anche sul numero esatto di coloro che sono scesi in piazza, meglio evitare le solite sterili polemiche.
Il sindacato rosso parla già insistentemente di un fiume di presenze, ma più che i numeri dei manifestanti deve contare il significato politico di questa manifestazione. Che, come le altre, va rispettata ma può essere anche legittimamente criticata e contestata.
C'è chi ha definito quello della Cgil uno sciopero contro il Paese. Inutile, dannoso, pericoloso, incoerente: questi sono stati gli aggettivi più usati, a Bari e non solo, da coloro (e sono tanti) che hanno ignorato lo sciopero e hanno lavorato come ogni giorno.
Non è una novità che il sindacato di Susanna Camusso da un po’ di tempo, in particolare in coincidenza con la rottura dell’unità sindacale sulla questione dei contratti esplosa con il caso Fiat di Pomigliano d'Arco, si sia colorata sempre più di rosso.
Sono finiti, però, i tempi del potere di veto e delle estenuanti concertazioni, quando tutti vincevano qualcosa meno che l’economia italiana. E’ lontana l’immagine di quella politica consociativa che ha contribuito a portare l’Italia a un debito pubblico vicino a duemila miliardi di euro.
Tutto questo passato, per fortuna, è ora visto come il ricordo stantio di un metodo non più proponibile. E la Camusso, a quanto pare legata ancora a quelli schemi, viene vista all'interno del suo stesso mondo come un campione di archeologia politico-sindacale.
L’impressione è che la Cgil abbia scelto di essere il sindacato della rottura, il cui metodo sembra essere quello della lotta al sistema: quasi mai disponibile al confronto, adeguandosi ad essere un ulteriore strumento politico dell’area del pregiudizio ideologico, molto più che una democratica espressione dell’impegno nelle battaglie sociali. L’attività di portare nelle piazze la lotta di classe prevale sull’interesse sindacale a comporre le controversie tra impresa e lavoro mediando tra i diritti e i doveri di tutte le parti in causa.
A rimarcare l’atteggiamento più politico-ideologico che sindacale della Cgil ci sono le reiterate prese di distanza della Cisl e della Uil, come è accaduto anche in questa circostanza. Bonanni e Angeletti, benché critici sulla manovra, si sono mostrati indisponibili ad alzare i toni, facendo prevalere quel senso di responsabilità che in questo momento di crisi dovrebbe accomunare tutti.
Lo sciopero della Cgil era stato indetto da tempo, quasi in modo preventivo. Da allora molte cose sono cambiate, tanto da rendere questa manovra incardinata sul recupero di risorse attraverso un intervento il meno possibile a carico delle tasche dei cittadini già provati dalla crisi.
Eppure la Cgil, ma anche Bersani e Vendola, hanno parlato di un attacco, a dire il vero inesistente, all’art 18 dello Statuto dei Lavoratori, allarmando sulla facoltà di licenziamento delle imprese, introdotta a loro dire con l’art. 8 della manovra, quello che prevede la possibilità di accordi in deroga ai contratti nazionali.
Nonostante il Ministro Sacconi si sia affrettato a spiegare che si tratta di “un rafforzamento dei contratti aziendali chiesto dalla Bce perché consente una maggiore crescita” con l’obiettivo di “incoraggiare nuove assunzioni”, non è mancato il fuoco di critiche strumentali.
Se riflettessimo bene, però, la maggiore preoccupazione in Italia dovrebbe essere soprattutto per coloro che sono fuori dal mondo del lavoro, messo in difficoltà dalla attuale congiuntura economica internazionale. I lavoratori sono prevalentemente garantiti, benché interessati da tanti problemi per arrivare alla fine del mese o per far quadrare i bilanci familiari, e benché siano preoccupati per il futuro dei propri figli.
Eppure, a scioperare contro la manovra bis del Governo, sono proprio loro. Quelli iscritti al sindacato di sinistra. Quelli della Cgil braccio destro e sinistro dell’area del neo-comunismo e dell’alternativa sociale.
La manovra è stata chiesta all’Italia dai partner europei per tranquillizzare i mercati e segnare passi concreti nell’indirizzo della rimessa in sesto dei nostri conti. Questa manovra non è un capriccio del governo e i suoi contenuti sono una sintesi di istanze diverse, comprese quelle richiamate dall’opposizione.
C’è anche l’impegno per le istanze invocate dai cittadini su questioni come quella del taglio ai costi della politica: a tal proposito, il dimezzamento dei parlamentari e l’abolizione delle Province, da attuare attraverso l’iter parlamentare previsto dall’art 138 della Costituzione.
Ecco perché questo sciopero della Cgil risulta non solo inutile, ma anche dannoso: uno sciopero che, in questo momento, non va di certo a vantaggio del Paese.
Vito Schepisi
su L'Occidentale
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