Tremilaseicentocinquanta giorni fa, due aerei di linea, carichi di passeggeri, penetravano come in una tavoletta di burro, nelle pareti esterne delle Twin Towers a New York. In quello stesso giorno, un altro aereo di linea, anch’esso carico di passeggeri, precipitava al suolo in Pennsylvania, fortunatamente fuori da centri abitati, e un altro jet ancora si abbatteva sul Pentagono, simbolo assoluto del comando militare statunitense.
Vicende tutte integrate in un’unica azione terroristica. Atti di bestiale crudeltà in cui persero la vita circa 3.000 persone tra uomini, donne e bambini.
La lettura politica di quell’assurda catastrofe è nell’esplicito atto di guerra che una parte del mondo aveva dichiarato contro la civiltà occidentale.
Quel giorno qualcuno iniziò a capire che la guerra di civiltà non era un’invenzione delle forze reazionarie, e che non era neanche la resistenza del cattolicesimo all’imporsi, in medio oriente, dei regimi che s’ispiravano all’integralismo islamico, ma era tutta in quell’esplicita, anche se tacita, dichiarazione di guerra dell’11 settembre del 2001.
Chi nega la guerra di civiltà in atto, nega la storia. Per farlo c’è persino chi nega l’11 settembre, com’è stato ancor prima negato l’Olocausto. L’infamia dissolutrice nazi-totalitaria non sa cosa sia la vergogna.
All’apertura del terzo millennio tutti i popoli della Terra hanno così potuto osservare, in quell’atto di barbarie, la barriera di odio che il mondo musulmano stava erigendo contro la civiltà occidentale e contro tutte le sue espressioni più rappresentative.
I rapporti tra due mondi diversi per cultura e civiltà, a spregio della diplomazia e della convivenza civile, s’incrinavano per il crescere di un fanatismo intollerante e per ragioni che esulavano dalla visione di egemonia politica ed economica del mondo.
Si manifestava, così, l’odio cieco verso un diverso modello di civiltà. Veniva fuori una frattura che, se traeva le sue origini storiche nel medioevo, dai tempi delle crociate e delle missioni volute dall’influenza esercitata della Chiesa per “liberare” la Terra Santa dai musulmani, era cresciuta sulle frizioni tra due differenti condizioni di vita. Nell’era della comunicazione si è radicato più l’odio per le libertà, che il risentimento per i fatti di 900, e passa, anni prima.
Alla società civile, in alcuni paesi arabi si erano sostituite le rappresentanze teologiche islamiche che imponevano regole rigide, nel segno delle interpretazioni più radicali dei loro libri sacri. Il fenomeno, fino al 2001, si era già allargato a macchia d’olio, e prosegue tuttora sino alle ultime rivoluzioni delle popolazioni del nord-africa in cui il fattore islamico ha avuto un proprio ruolo.
Le caratteristiche più inquietanti dell’Islam sono nell’assenza di tolleranza, nella differenza di civiltà e nel rifiuto del pluralismo culturale e religioso. E’ sufficiente una scintilla, un “versetto satanico” o una citazione teologica a innescare una bomba. Basta un solo banale episodio per far partire una “fatwa” che equivale a un giudizio emesso, per il quale ogni musulmano si sente poi autorizzato a dar effetto alla pena.
Anche in Europa e in Italia gli immigrati di estrazione islamica pretendono di imporre la loro cultura e non rispettano usi e tradizioni locali, e neanche le leggi dei paesi ospitanti.
Dopo 10 anni, dall’11 settembre 2001, nonostante la scomparsa di Bin Laden, malgrado le due guerre in Iraq con la sconfitta di Saddam Hussein, e nonostante l’impegno delle N.U. in Afghanistan, per la lotta al terrorismo, il quadro è andato via, via peggiorando.
La genesi dell’insuccesso ha sempre le sue motivazioni. E’ da individuare essenzialmente nella confusione degli obiettivi. Le nazioni occidentali sono divise tra loro per meschini interessi economici e per strategie di lotta politica. All’interno degli stati sono presenti grosse spaccature. In Italia, ad esempio, ci sono partiti e movimenti che, per questioni ideologiche e per mera speculazione politica, pur di contrapporsi a paesi come Israele e gli USA, visti come baluardi del capitalismo e della democrazia liberale, e quindi additati come imperialisti e violenti, solidarizzano con il terrorismo islamico. Persino l’11 settembre è messo in discussione, con tesi complottiste imbevute di cieca viltà.
In Occidente non c’è condivisione e non c’è coscienza nazionale, sino a non avvertire il pericolo di una massa fanatica, sospinta persino al martirio per esaudire il volere del suo Dio e guadagnarsi così, con il sacrificio terreno, il paradiso con le 7 fanciulle promesse. Questa condizione dell’Occidente rende più debole la politica della fermezza e spunta le armi della diplomazia. La divisione finisce per essere la forza di coloro che oggi possono minacciare la pace e le conquiste della nostra civiltà.
L’11 settembre, invece, se non si volesse rinunciare a vivere secondo i principi della democrazia, da cittadini autonomi e liberi di scegliere, dovrebbe esser visto come un segnale per non abbassare la guardia. L’assassinio di tremila persone dovrebbe essere un monito contro il fanatismo politico e religioso. Dovrebbe servire a radicare i valori del pluralismo nella nostra cultura. Dovrebbe farci comprendere i limiti dell’integrazione possibile. Dovrebbe unirci nella conferma orgogliosa delle nostre abitudini e delle nostre tradizioni.
Sono la fermezza, il coraggio e la forza della libertà, infatti, le sole armi vincenti della gente civile per contrastare, tutta insieme, ogni rigurgito di follia.
Vito Schepisi
1 commento:
ma che c'entra l'iraq con la guerra al terrorismo? E poi la cosa bella è che parli di meschini interessi occidentali come se non vi fossero persone dietro ad essi. Un nome su tutti è quello di Bush junior, che io non esito a calssificarlo come il bin laden occidentale (non fosse per la guerra per il petrolio scatenata in iraq con la scusa del terrorismo...quanti civili ha ammazzato per lo sporco denaro?CHe sia meno terribile che uccidere per una fanatica idea religiosa?Anzi, io direi, è fanatico pure uccidere per il denaro. o no????)...eppure il tuo giudizio storico su di lui è positivo. Mah....
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