12 febbraio 2010

Informazione, comunicazione politica e servizio pubblico


Chiariamo subito alcune cose. La par condicio è una pessima legge perché non assicura affatto la partecipazione equilibrata dei partiti, non aiuta alla chiarezza, agevola la frammentazione, pone sullo stesso piano forze politiche con diversa rilevanza popolare, arricchisce a dismisura le emittenti private a diffusione locale, soffoca la comunicazione politica.
Le Tv che non trasmettono su tutto il territorio nazionale, piccole o grandi che siano, sono fuori dall’obbligo delle misure restrittive poste invece, dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, alle emittenti a diffusione nazionale. E già questa diversità, se si parla di par condicio, dovrebbe rappresentare un problema, specialmente quando si svolgono elezioni di tipo amministrativo, come le prossime regionali.
La par condicio non contribuisce affatto al pluralismo dell’informazione, né, come si è detto, all’equilibrio quantitativo della comunicazione politica. Non serve neanche alla moralizzazione ed alla trasparenza, perché proietta la comunicazione su altre fonti di diffusione, a volte più costose e meno rispettose dell’ambiente, ed induce molti competitori all’uso indiscriminato degli spazi di affissione che, in particolare al sud, sono spesso infiltrati dalla malavita.
Un’altra cosa da chiarire riguarda la stranezza di un costume di gestione per la tv pubblica. E’ inquietante, infatti, pensare che si renda necessaria un’apposita legge ed un preventivo regolamento per assicurare a tutti l’equilibrio ed il pluralismo delle informazioni politiche in un servizio pubblico. E’come dire, ad esempio, che per le Trenitalia si debba fare una legge che assicuri a tutti i viaggiatori, senza distinzioni, di poter partire da una stazione ferroviaria e di poter raggiungere una qualsiasi altra stazione ferroviaria. La neutralità del servizio pubblico rispetto all’utenza, infatti, dovrebbe essere il primo fondamentale valore da rispettare.
Per i servizi della Rai, ente pubblico, per il quale si rende necessario anche il pagamento di una tassa annuale, c’è invece una legge ed un regolamento, predisposto dal Comitato interparlamentare di Vigilanza, che vale solo in periodo elettorale. Sia la legge che il regolamento si renderebbero - così pare - necessari per l’offerta pluralista del servizio pubblico. Come se fosse possibile, invece, in altro momento, disattendere all’obbligo della imparzialità. E’ una questione che deve indurre a riflettere sul ruolo corretto di una tv pubblica che valga per sempre e per tutti!
Viene da se che un pubblico servizio, se gestito in modo parziale e se fa discriminazioni, sia al di fuori di un sistema di democrazia liberale. L’informazione richiede sempre la pluralità delle opinioni e deve mantenersi in modo leale, e per necessaria abitudine, nello spazio del confronto corretto e nella garanzia della neutralità arbitrale dei suoi conduttori. E’ in questo modo che il servizio pubblico garantisce la professionalità dei suoi dipendenti e l’effettiva scelta di un metodo democratico nel suo utilizzo.
Anche la comunicazione politica di parte deve avere l’equilibrio dei suoi spazi, perché sia garantito sempre un rapporto corretto tra maggioranza ed opposizione e perché all’interno siano rappresentate tutte le componenti. E’semplicemente assurdo, infatti, pensare che se la maggioranza, o viceversa l’opposizione, sia rappresentata da un solo partito, debba essere penalizzata rispetto alla parte avversa che, qualora sia rappresentata da un numero superiore di partiti, possa avere spazi tante volte superiori. La frammentazione non aiuta a capire, spesso invece, al contrario, contribuisce a confondere.
Una televisione faziosa finisce col diventare il luogo del tifo di tipo sportivo ove non prevalgono le ragioni delle diverse idee da diffondere, ma solo l’opportunità di una parte per disseminare trappole ed imboscate da utilizzare contro l’avversario politico. Alcune trasmissioni sembrano più campi minati, organizzate per far saltare all’aria le ragioni politiche dell’avversario, se non per cercare d’affossarlo del tutto.
Si assiste, inoltre, sempre più spesso, a trasmissioni organizzate contro una persona, ci si intromette nella sua vita privata, persino in quella coniugale. Dovrebbe essere assurdo che ciò avvenga in un contenitore del servizio pubblico, ma avviene! Anche con la presenza di ospiti discutibili, che assurgono al ruolo di eroi.
Non si dovrebbe invece consentire, per il rispetto che si deve alle scelte personali, alle idee ed alla dignità di tutti i cittadini, che nelle trasmissioni di approfondimento si indichi qualcuno, non più come un competitore politico, non più come un portatore di idee e di programmi differenti, ovvero un responsabile di provvedimenti e soluzioni di governo adottate, ma come un vero nemico da abbattere.
E’ un po’ come succede nelle campagne d’odio che i regimi autoritari e repressivi sollevano per delegittimare il dissenso. Solo che da noi lo stesso metodo viene utilizzato per delegittimare il consenso. Ed appare così tanta l’abitudine al metodo della intolleranza e del pregiudizio ideologico, che in certe occasioni si finisce col dissentire dai sentimenti del popolo. Il che non è poi una grande lotta per i diritti degli oppressi, come si vorrebbe invece far credere.
Superata anche questa prossima prova elettorale, si dovrebbe guardare con maggiore attenzione, e nel suo complesso, al mondo dell’informazione. Due gli obiettivi: liberalizzarla e responsabilizzarla.
Le enormi risorse pubbliche impiegate, generalmente in modo distorto ed inutile, mortificano le tante potenzialità di pluralismo effettivo, mentre esistono tanti protagonismi che, in nome della libertà d’informazione, fanno invece disinformazione con i soldi dei contribuenti.
Vito Schepisi

3 commenti:

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