17 gennaio 2008

Sinistra Giustizia

Il Ministro, o forse l’ex Ministro Mastella deve aver pensato che compiacere i magistrati gli sarebbe tornato utile per ottenere una facilità di percorso nel suo lavoro politico. Oggi tra i reati di voto di scambio, di concussione, di associazione a delinquere, di corruzione, di abuso in atti d’ufficio, per un qualsiasi politico è una giungla piena di insidie.
Il reato, in Italia, anziché essere un incontrovertibile episodio di malversazione è spesso un’interpretazione soggettiva di comportamenti.
Se costituisse una regola ferma, valida in ogni luogo e circostanza, e soprattutto applicabile contro ogni soggetto da Napoli a Trieste, da Bologna a Palermo, da Bari ad Aosta, ci potrebbe anche stare. Finché si ponessero dei limiti invalicabili fuori dei quali si materializzerebbe il reato, tutti saprebbero che se Mastella o Prodi, o se Berlusconi o D’Alema caldeggiassero, ad esempio, la nomina di un consigliere o di un manager in un consesso pubblico commetterebbero un reato penale. Se fosse così, tutto questo costituirebbe un elemento di chiarezza e di giustizia ove la legge sarebbe, veramente, uguale per tutti.
Sappiamo però che non è proprio così! I confini di questi reati sono molto incerti e finiscono quasi sempre per non reggere in giudizio. Si ha l’impressione che vengano usati più che adottati. Sono imputazioni e notizie di reato rumorosi. Non a caso il più delle volte vengono diffusi in anticipo dagli organi di informazione, come a voler creare un clima di soddisfacente aspettativa nell’opinione pubblica. E spesso servono per distrarre l’attenzione dalle responsabilità politiche di più alto spessore, o per mettere in difficoltà uomini e/o partiti scomodi. Servono, anche, per delegittimare gli avversari politici e rendere meno credibile il loro operato.
C’è stato buon feeling tra Mastella ed i magistrati, finché il ministro si è lasciato dettare, persino nelle virgole, il testo della “controriforma” del sistema giudiziario. La magistratura ha così recuperato il pericolo di perdere parte del suo tracimante potere e di rendersi, alla pari delle altre funzioni pubbliche, necessariamente efficiente e responsabile. Concessi i benefici della riforma, però, a Mastella non è rimasto altro per esercitare pressioni sulla magistratura, e ben presto s’è accorto che la sua è stata fatica sprecata. Se sperava di essersi guadagnato benemerenze, è rimasto deluso.
Un uomo navigato come Mastella avrebbe dovuto prevedere che in ogni circostanza, laddove esista solo l’obbligo di credere, perché sulla ragione prevale il dogma, emerge una visione fondamentalista della propria funzione. Se il potere esercitato dai magistrati resta fuori dai controlli del popolo, e non sottostà ai principi democratici della responsabilità, ma si esaurisce in un confronto di tipo corporativo che di regola si autogiustifica, questo esercizio si trasforma in infallibilità, quasi in certezza.
Ma non siamo in una disputa etica in cui la fede resta un opzione della società civile e costituisce, tra le altre, una libera scelta, per altro assoggettata al principio religioso del libero arbitrio. Siamo, invece, nell’ambito dell’esercizio della limitazione della libertà dei cittadini, in un alveo di condizionamento del futuro di uomini e famiglie. Ci troviamo spesso in uno spazio di pruriginoso e barbaro compiacimento di una parte dell’opinione pubblica che a giorni alterni si presenta con la forca in mano.
Come dimenticare ciò che accadeva all’inizio degli anni ’90, con tangentopoli, quando televisioni, giornali e pubblica opinione osannavano l’uomo dei congiuntivi incerti che alzava la voce e filosofeggiava sui bicchieri mezzi vuoti o mezzi pieni?
Se manca la Giustizia, come certezza di equilibrio e di unanime condivisione, prevale la barbarie ed il dominio delle “caste” in cui i poteri forti si coalizzano a danno delle fasce più deboli. Si secolarizza ciò che avviene in Italia, oramai da decenni, in cui il popolo paga il conto delle insufficienze e delle incapacità della classe politica. Se la Giustizia non è più un principio ma una scelta motivata da esigenze politiche o di casta, si disperdono persino i valori della democrazia e la libertà non costituisce più un inalienabile diritto ma una concessione.
Il leader dell’Udeur ora si può rendere conto di quale corbelleria abbia commesso, o sia stato obbligato a commettere, in quanto partecipe di una maggioranza politica illiberale, quando ha lasciato che l’ANM recuperasse il suo potere condizionante sull’amministrazione della giustizia. Non il senso della giustizia, come sarebbe stato auspicabile, ma la consapevolezza dell’esercizio di un potere, anche politico, persino nella discriminazione degli atti della pubblica amministrazione, a seconda delle opzioni politiche da far prevalere.
Mastella sin dalla costituzione del governo Prodi è divenuto il capro espiatorio della sinistra alternativa, appiattitasi sulla maggioranza di Prodi. Sull’uomo di Ceppaloni si sono puntati i riflettori sin dal momento della sua richiesta di ottenere il Ministero della Giustizia. Il provvedimento sull’indulto, in quanto inviso alle fasce dell’antipolitica, ne ha appesantito ancora di più l’immagine. E quando il fallimento dell’esperienza della sinistra di governo ha avuto bisogno di motivazioni e responsabilità da dare in pasto alla sinistra dell’odio sociale, è apparso Mastella tra i soggetti che maggiormente si addicono al gioco.
Vito Schepisi

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