15 aprile 2013
Pericolo autoritario
Se per il cambiamento si pensasse a Prodi, non vorrei neanche pensare a cosa accadrebbe se Bersani pensasse invece ad una stagione di continuità con la tradizione passata.
Ritornerebbero gli “zombie” del pci (li chiamava così il Presidente Francesco Cossiga).
Bersani chiede il cambiamento. Il suo leitmotiv è “cambiare si può”.
Anche l’igiene pubblica lo richiederebbe, e non solo quella personale.
Dopo tanto mescolare sui nomi, con i soliti personaggi gettati nella mischia, tutti rigorosamente giustizialisti e tutti ben contraddistinti per i modi sbrigativi con cui si adatterebbero a rimuovere l’ingombro scomodo di una parte politica, emerge anche una candidatura Prodi.
Guarda, guarda che gran bel cambiamento!
L’idea è che possa essere una prepotenza, cioè una provocazione buttata là perché arrivi il messaggio che al peggio non c’è limite. Un modo per dire che è meglio accontentarsi di arbitri di parte, anziché di arbitri venduti, che è come dire: se non è zuppa è pan bagnato. Si vorrebbe forzare la mano.
Ci provano con le intimidazioni, ma non bisogna cedere alle provocazioni. Il no di Berlusconi su Prodi al Quirinale è così più che motivato.
Prodi non è al di sopra delle parti e porta con se rancori personali, legati a episodi politici italiani. Non è l’uomo adatto a rappresentare con distacco e serenità l’unità Nazionale e il ruolo di garanzia previsto dalla Costituzione. Proporlo appare un’indecente provocazione.
Vendola, ridimensionato nelle elezioni del 24 e 25 febbraio, defilatosi dal precario Parlamento per restare attaccato alla poltrona di Governatore della Puglia, ora nel ruolo di spavaldo alfiere del PD e di testa d’ariete di Bersani, giudica "intollerabile l'esclusione di Prodi dai nomi in corsa per il Quirinale".
Nessuna meraviglia. Le parole apodittiche di Vendola sono piuttosto la conferma, ove mai servisse, dello strano concetto di cambiamento che anima la sinistra italiana.
Il cambiamento consisterebbe nell’imporre con il 30% dei voti il controllo sistematico di tutto, come già avviene nella Puglia di Vendola. Lo chiamano cambiamento ma, come si è già visto nei quattro lati del mondo, è dogma, è dittatura, è arroganza.
Si è detto tanto di Prodi in Italia. La stampa per anni si è divisa nell’illustrarne il bene ed il male. I suoi governi sono stati definiti a trazione fiscale. I suoi conti “pubblici” si sono rivelati manipolati e discutibili, tra poste nascoste e giochetti contabili. Anche il suo ruolo di Presidente della Commissione Europea, tra scandali e spese fuori controllo, ha destato molte perplessità e non pochi dubbi.
La protervia di Prodi si è dimostrata pari alla sua incapacità di unire. Anche il suo passato di boiardo di Stato grida ancora vendetta: non può, infatti, essere cancellato con un tratto di penna il saccheggio sistematico dei beni pubblici. Le difficoltà di oggi dell’Italia sono anche le conseguenze di quei saccheggi. A conti fatti, però, nessuno dei protagonisti ha pagato, neanche politicamente. La stagione di “mani pulite” appare ancora densa di ombre. E’ arrivata in modo affrettato - ora o mai più - rilasciando la sensazione che si volesse solo imprimere una svolta politica all’Italia. C’era fretta in un momento in cui il mondo intero cambiava.
C’è chi ricorda Prodi per la seduta spiritica nel mezzo del rapimento di Aldo Moro e chi strattonato dai magistrati di mani pulite. Per togliersi Di Pietro di dosso, Prodi si rivolse a Oscar Luigi Scalfaro, il peggiore dei presidenti dell’Italia repubblicana.
Sono note le sue amicizie con la finanza “coraggiosa”, note le sue contraddizioni e altrettanto noti i modi che gli hanno valso gli appellativi di “mortadella” e di “Pinocchio”.
Romano Prodi ha, inoltre, difetti di chiarezza e di comunicazione.
La sua candidatura a Capo dello Stato avrebbe il sapore di un brutto passato, non del cambiamento. Sarebbe una provocazione e costituirebbe un pericolo autoritario.
Gli italiani, invece, invocano la coesione nazionale ed il recupero del senso dello Stato. Sono stanchi degli eccessi della contrapposizione politica.
Servirebbe un Presidente della Repubblica che fosse davvero al di sopra delle parti.
Vito Schepisi
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