01 dicembre 2011

L'Italia autocratica

Sta cambiando qualcosa, e ciò che appare non è confortante. La svolta voluta dal Presidente Napolitano, prima che i redditi, gli stipendi e le pensioni dei lavoratori, taglia qualcosa di più importante.
Agli occhi interessati di finanza e mercati, le fondamenta di un Paese appaiono meno fungibili, ma per i cittadini che non giocano in borsa e che non speculano sulle valute e sui titoli del debito pubblico ci sono principi molto più importanti, come quelli di libertà e di democrazia che restano ancora impressi nella nostra Costituzione.
Non si conoscono ancora nei dettagli i contenuti della manovra annunciata per il 5 dicembre prossimo dal nuovo Presidente del Consiglio Monti, ma si sa già che qualcosa sta cambiando. Ciò che appare chiaro è che, da qualche giorno, le decisioni prendono forma in luoghi del tutto diversi da quelli tipici di un sistema democratico. Da Bruxelles, ad esempio, non si arriva più con una valigia piena di impegni e di opportunità, ma con una cartellina che, come intestazione, porta scritto “prendere o lasciare” ed in cui è contenuta una lista di diktat.
Siamo dinanzi ad una svolta epocale. E’ doveroso, pertanto, rifletterci sopra. Dobbiamo farlo per registrare questa visibile nuova realtà, senza ignorare quanto sia altrettanto visibilmente pericolosa, come quella in cui le scelte per gli italiani le stanno facendo i burocrati ed i banchieri europei, non più i cittadini in libere elezioni.
Non c’è più neanche il confronto tra le diverse opzioni politiche. Questo Governo ha avuto la fiducia di quasi tutto il Parlamento, alla Camera e al Senato. Eccetto alcuni parlamentari che hanno dissentito a titolo personale, soprattutto per esprimere un malessere, e della Lega Nord che è passata all’opposizione, il Governo Monti ha avuto una fiducia larghissima ed è stato votato dalla destra, dal centro e dalla sinistra. Sulla carta gode di una maggioranza bulgara.
Ad occhio, c’è puzza di imbroglio!
Se la Conferenza di Messina del 1955 si fermò alla CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) con l’auspicio di voler camminare tanto per raggiungere quella comunione di intenti che aveva animato lo spirito europeista di uomini come De Gasperi, Einaudi, Gaetano Martino, Adenauer, senza dimenticare Giuseppe Mazzini, oggi quelli che sembrano esser stati alcuni pur timidi passi avanti in senso europeista, in verità si rivelano come il tipico procedere incerto di un passo avanti e due indietro.
E’ il fallimento dell’immagine di un’Europa che si voleva unita nelle decisioni importanti. Viene meno un Comunità che si auspicava adottasse una politica comune improntata al rilancio della plurimillenaria civiltà del Vecchio Continente. Manca, purtroppo, la consapevolezza di un ruolo. Nessuna comunità cresce senza che abbia uno scopo e senza un coincidente obiettivo di diffusa equità sociale. Dalle piccole alle grandi comunità è sempre così.
L’Europa è, se si prefigge di diventare un faro di civiltà, un riferimento per la pacifica convivenza civile, un modello di democrazia. Il vecchio Continente avrebbe da porsi come riferimento per tutti quegli uomini e quei popoli che mirano alla pace, alla solidarietà e alla cooperazione.
Come gli USA che, a torto o ragione, rappresentano nel mondo l’idea della libertà della gente oppressa, l’Europa doveva rappresentare, per i popoli che vanno dall’area mediterranea fino all’oriente, la nuova frontiera dell’equità sociale e dell’umanesimo. Doveva essere la traccia di un multiculturalismo che si apriva alla comprensione e alla solidarietà, in cui ogni paese si attribuiva il suo fardello di impegni.
E’ emersa, invece, l’Europa degli egoisti e dei furbi.
Sembriamo dei pazzi, vandali ed ubriachi che si divertono a distruggere tutto ciò che capita a tiro.
Questa che c’è, è l’Europa delle mezze tacche, degli uomini piccoli che con veti, spocchia, presunzione e prepotenza mettono con le spalle al muro gli stati che ne fanno parte, e piegano le ginocchia dei più deboli.
E’ la stessa Europa che finisce con il non avere più una sua moneta credibile. Una finta unione di paesi diversi per lingua e storia, permeabile agli spifferi della speculazione e cagionevole, tanto da costiparsi a tal punto da dover ricorrere a terapie d’urto, dinanzi alla poca avvedutezza di una protagonista che un giorno ebbe la brillante idea di disfarsi dei titoli di debito pubblico italiano dal portafoglio del suo Paese.
E l’Italia è la terza grandezza economica dell’Europa dell’Euro.
Questa è l’Europa che perde prestigio internazionale, mentre si piega dinanzi alla bolla speculativa di mercati e di banchieri, senza registrare alcuna lodevole e coraggiosa reazione dei suoi governanti. Questi sono uomini che si credono statisti e che si piegano agli eventi della speculazione, senza la capacità di reagire e di riprendere in mano il timone di comando per rimettere la nave in acque più navigabili.
La finanziaria italiana ora la faranno la speculazione ed i diktat della Bce, della Merkel e dell’Amministratore Delegato dell’autocratico primo Uomo del Quirinale.
La cura da cavallo ridurrà certamente l’affanno del Paese.
Ma a che prezzo?
Vito Schepisi

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