09 giugno 2011

Non votare è una legittima scelta

Dopo il disastro di Fukushima la partita sulla scelta per il futuro produttivo del nostro Paese è diventata non più giocabile, tanta è la condizione di disparità tra le squadre. E’ come se in una partita di calcio l’arbitro espellesse d’un colpo la metà dei giocatori di una delle due squadre e, contemporaneamente, come se, dinanzi a precipitazioni alluvionali, tali da rendere impraticabile il campo, la partita non soltanto non fosse sospesa, ma vedesse l’arbitro e i guardalinee fare il tifo per una delle due squadre incitandola ad approfittare della superiorità numerica.
Ciascuno può trovare gli aggettivi che vuole, ma la sostanza è questa. E’ una gara truccata in cui non c’è competizione. C’è solo chi è impegnato a portare a termine una partita che è già compromessa per il risultato, per poter usare il risultato contro qualcuno, ovvero per sfruttarlo come un successo politico. E poco importa se sia usato anche contro il Paese e le future generazioni.
Il referendum in Italia è abrogativo. L’art. 75 della Costituzione prevede che sia usato per abrogare una legge. Ma la legge da abrogare non esiste più. E’ stata già abrogata e sostituita con un richiamo alla riflessione su tutte le possibili fonti di energia da utilizzare per il futuro. Per interpretazione della Cassazione ora si vuole abrogare anche la riflessione. Siamo ad un passo in cui ci sarà qualcuno che chiederà di abrogare persino il pensiero.
Gli italiani si lamentano dell’opacità delle nostre leggi, ma se la trasparenza è sconvolta per inseguire battaglie politiche, come si potrà mai far comprendere a tutti le ragioni degli impegni che si prendono? Come le motivazioni dei sacrifici, quando sono richiesti? Come il rispetto delle opinioni di chi la pensa diversamente o di chi fa altre scelte di vita? Come poter sostenere che il pluralismo sia un pilastro della democrazia? Come poter chiedere sempre e in ogni circostanza il massimo rispetto per le istituzioni e per chi le rappresenta?
E’ il caso di ricordare sommessamente anche al Presidente della Repubblica, ad esempio, che l’art.75 della Costituzione fa espresso riferimento al quorum da raggiungere per ritenere valido un referendum, tanto da lasciar supporre che sia validissima l’interpretazione di chi intende che sia una legittima scelta anche quella di non andare a votare. Sarebbe bene che oltre al Presidente Napolitano se lo ricordasse anche, benché faccia meno testo, conoscendone l’accentuato impegno politico di parte, il Presidente della Camera Fini.
L’autorevolezza del Paese e quella delle sue Istituzioni sono da salvaguardare, ma le perplessità, quando ci sono, non si possono sottacere. E’ legittimo, sempre con il dovuto rispetto dei ruoli, anche il richiamo a un’interpretazione diversa di autorevolezza e terzietà. C’è, infatti, chi in Italia resta perplesso e sgomento quando Istituzioni e funzioni dello Stato invadono altri campi e si schierano da una parte, come in tante circostanze è capitato di dover osservare.
Anche il non andare a votare è pertanto una scelta, e c’è chi intende farla propria dinanzi ai contorcimenti, agli imbrogli, alle mercificazioni, e all’uso improprio e furbesco di un istituto della democrazia. Il non voto può e deve risultare come una legittima protesta contro l’utilizzo delle istituzioni a guisa di ulteriore strumento di turbamento politico.
Dopo il disastro di Fukushima, Il Presidente degli USA Barack Obama, osannato in Italia come l’interprete più verace e pragmatico della più grande democrazia del mondo, ha detto: “nonostante ci sia bisogno di maggiore controllo, il nucleare fa parte del nostro futuro energetico”. In Italia, invece, non si può neanche riflettere, anzi giocando sulla paura, sull’onda dell’emozione dell’evento giapponese e, nonostante la volontà del governo di approfondire le questioni della sicurezza assieme ai partner europei, c’è un referendum che si è voluto far svolgere a tutti i costi, anche forzando l’interpretazione ed applicandolo alla legge che abrogava di già la legge su cui era stato richiesto.
L’iniziativa è stata di Di Pietro, abile manovratore delle sensazioni e degli effetti, benché politico mediocre e, per mancanza d’idee e di lungimiranza intellettuale, incapace di proporre un qualsiasi progetto politico. Una mano l’ha avuta dalla Cassazione, assieme, però, all’innesco di un nuovo corto circuito di legittimità. La cassazione, infatti, ha modificato il quesito del referendum, ma 3,2 milioni di cittadini italiani residenti all’estero hanno già votato, o non votato, con il vecchio quesito. Una matassa che sarà difficile sciogliere senza provocare nuove tensioni e polemiche.
Nel merito, però, è un’iniziativa che rischia di chiudere le porte del futuro. Senza energia non c’è produzione. Senza energia non ci sarà lavoro. L’Italia è tra i paesi più industrializzati del mondo e nessuno può pensare che potrà continuare a esserlo senza poter disporre di adeguati mezzi energetici. Il nostro Paese, attualmente, compra energia a caro prezzo: il petrolio ed il gas dai paesi arabi e dalla Russia e l’elettricità dalla Francia e dalla Germania. Queste ultime vendono all’Italia l’energia prodotta dalle centrali nucleari a ridosso dei nostri confini. L’energia di cui disponiamo la ricaviamo da impianti idroelettrici (il cui sviluppo è saturo), dagli impianti a carbone (altamente inquinanti), pochissimo dalle biomasse (la differenziata al sud è quasi inesistente) e poi dalle rinnovabili (vento e sole) in sviluppo (per quantità l’Italia è la seconda in Europa dopo la Germania), ma costose e di grosso impatto ambientale.
La domanda sorge spontanea: per quanti anni ancora l’Italia manterrà concorrenziale la sua industria? E dopo? Dopo faremo come gli albanesi e i nord africani … sui barconi in cerca di fortuna.
Vito Schepisi

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