08 giugno 2011

Il grande imbroglio

Il grande imbroglio di questo scorcio di vita politica italiana è nella disparità dell’informazione. Non ci sono nei media a grande diffusione nazionale, soprattutto negli spazi televisivi, gli approfondimenti completi e obiettivi. Non si diffondono informazioni e dati, ma solo spunti parziali di giudizio che inevitabilmente condizionano le scelte. L’informazione sui quesiti referendari ne è un esempio: una farsa senza senso perché si chiede di esprimersi su cose diverse da quelle che appaiono o che si vogliono far credere. Ma nessuno lo sa.
La faziosità e il tentativo di porre pregiudiziali politiche e ideologiche hanno buon gioco sul pluralismo sostanziale che non è solo la presenza di una voce discorde, accanto a quella che esprime un’altra opinione, ma è soprattutto nell’imparziale rappresentazione delle diverse soluzioni, o nella presenza o meno di proposte diverse, atteso che le opposizioni dovrebbero avere il buon senso di contrapporre anche soluzioni alternative, oltre che opporsi a quelle proposte dalle maggioranze.
Non può ritenersi, infatti, obiettivo e dignitoso un servizio pubblico che interpreti la democrazia solo come spazio di presenza di una parte e dell’altra, quando poi, persino con filmati sceneggiati densi di carica emotiva, e con l’enfatizzazione documentata di situazioni di parte, si spinge verso l’inevitabile giudizio negativo su alcuni e, invece, assolutorio su altri. Nella Tv pubblica è accaduto anche questo, con lo spazio informativo che si trasforma in un tribunale in cui non si cerca la ragione oggettiva, ma lo stato emotivo istantaneo di condanna o di assoluzione.
Accade su tutti i provvedimenti, a volte con atteggiamento diffamatorio, su tutte le scelte legislative e su qualsiasi modifica normativa. L’ipocrisia si taglia a fette. Tutti, ad esempio, oggi sono ad applaudire la riforma del federalismo fiscale. Tutti parlano della cedolare secca come di un provvedimento legislativo straordinario, attesa l’attitudine del Parlamento italiano a varar leggi che finiscono col complicare le cose. Durante la sua discussione, però, questa legge è stata osteggiata tenacemente da tutta la sinistra, sia in Parlamento e sia nei salotti televisivi.
In Italia, sulla stampa e in tv trovano spazio più i motivi del dissenso che non quelli per scelte di opportunità, di necessità o di cambiamento. E’ la ragione per la quale le tante attese e invocate riforme non sono state mai varate, e per la quale ha avuto buon gioco la reazione delle caste che si servono della politica e dei mezzi d’informazione per allontanare lo spettro del cambiamento. Far cenno alle riforme e invocarle come l’espediente salvifico della nostra democrazia, rappresentandole come il cambiamento di marcia del Paese per accrescere i diritti e per creare maggiore efficienza, è diventato solo un modo nominale per attirare consensi. Ciascuno, poi, le vorrebbe fare a suo modo e, tra questi, molti le vorrebbero così inadatte a modificare abusi e privilegi, da farle apparire persino inutili.
Tutte le trasmissioni di approfondimento politico, economico e sociale poi ricadono solo e sempre un unico argomento, con le diverse varianti. Se si parla di politica in Italia, si finisce col parlare solo e sempre di Berlusconi. Ne viene che la fortuna e la perdita d’immagine del Premier è dovuta al centralismo delle sue questioni, politiche o personali che siano. E non ci sembra che la questione di un Paese tra i più industrializzati del mondo, per quanto sia stata importante la svolta politica impressa da Berlusconi, possa limitarsi solo al giudizio sulla sua persona o su ciò che fa e dice.
Sul futuro politico, alcune riflessioni le ha poste Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di qualche giorno fa. L’editorialista si chiedeva se, con il Cavaliere, fosse destinato a tramontare anche il bipolarismo e cioè il metodo di scegliere prima delle elezioni un programma e una coalizione di governo, in modo tale da farsi giudicare, politici e partiti, col voto degli elettori su ciò che viene proposto e su ciò che è stato fatto.
Legata a questa scelta è pensabile che si possa aprire un’altra stagione d’instabilità nelle alleanze politiche ed è pensabile che, se cadesse il bipolarismo, possano emergere gli stessi fattori d’instabilità, già registrati nella prima repubblica, comprese le divisioni in correnti organizzate, con cui è facile ipotizzare anche costi di gestione e finanziamenti illeciti che, in termini più comprensibili, si tradurrebbero in maggiore corruzione ed in nuove cordate lobbistiche. Finanza, industria, media e magistratura avrebbero maggiori poteri di condizionamento e il cittadino sarebbe, come sempre, chiamato solo a pagare il conto della spesa, trovandosi a godere di minori diritti.
In questi termini si spiega il continuo e ossessivo tentativo della sinistra di demolire la leadership di Berlusconi. Senza il Leader del centrodestra è possibile ipotizzare le difficoltà di tenuta della coalizione moderata e, in tutti gli scenari, bipolari o proporzionali, a trarne vantaggio sarebbe solo il centrosinistra, disposto a tutto, pur di arrivare a mettere le mani sul Paese. La preoccupazione è che, quando l’ha fatto, ha solo svenduto risorse, aumentato le tasse e ridotti i diritti.
Panebianco ha ragione: “Il Pdl è nato con il bipolarismo e ne ha bisogno per continuare a esistere”. Per i moderati, pertanto, è necessario rilanciarlo e rafforzarlo, ed è necessario che gli altri protagonisti dell’area moderata facciano da subito le loro scelte. L’idea può essere quella di aprire a una maggioranza capace di varare le riforme e di cambiare in senso bipolare il Paese, anche con il varo di una legge elettorale che premi le ragioni dello stare insieme, che abbia un’ampia valenza maggioritaria e che serva, anche, a risolvere la domanda degli elettori di poter scegliere gli uomini che li dovranno rappresentare in Parlamento.
Vito Schepisi

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