23 novembre 2010

Il cerino acceso tra le dita

C’è un odore fastidioso di prima repubblica tra gli interpreti di questo scorcio autunnale di legislatura. Il gioco del cerino acceso tra le dita, nell’attesa che sia il proprio avversario a bruciarsele non ci persuade. Il braccio di ferro tra Fini e Berlusconi non giova all’interesse del Paese. E non occupa i pensieri della gente. Anche la retorica un po’ stantia del primo della classe, con cui si esercitano Bersani e Casini, non ci emoziona più di tanto, e le loro reiterate diffide non ci convincono e non sono tali da toglierci il sonno notturno. C’é un’abitudine ai richiami di “al lupo, al lupo” che esula dal rapporto corretto tra maggioranza e opposizione. E alcuni personaggi, superando la soglia del credibile, sono diventati quasi incredibili.

Contenti loro! La sinistra resterà sempre minoranza, se non avvertirà quanto sia improduttiva l’ipocrisia di non saper esprimere una proposta di governo alternativa a Berlusconi. Tertium non datur. La democrazia funziona solo così, diversamente è autoritarismo reazionario. Se la sinistra non sarà capace di opporre un vero progetto politico, e se per proporsi non avrà l’umiltà di confrontarsi con il Paese, raccogliendone i sentimenti, e se non avrà altrettanta umiltà di porsi in competizione democratica con l’unico centrodestra possibile, che è poi quello indicato dalle urne, e se continuerà solo ad applaudire chi semina confusione nel campo avverso, a prescindere dalle motivazioni e dalla coerenza, continuerà solo a ripetere ciò che sosteneva Gino Bartali quando commentava il Giro: “ è tutto da rifare”. Finché nessuno presterà loro attenzione.

La politica aggressiva non entusiasma gli elettori. La politica delle contraddizioni, dei doppi forni, delle furbizie, dei condizionamenti e dei ricatti non paga in termini di consensi. L’elettorato moderato, quello corteggiato da tutti perché asse centrale di ogni possibile maggioranza politica, è composto di cittadini molto più semplici di quanto si pensi. L’elettore moderato, senza perdersi tra i massimi sistemi, fa le sue scelte sulle questioni che contano, e con saggezza pone solo una serie di pregiudiziali sulla pacatezza, sulla volontà, sulla capacità e sull’attendibilità di partiti e leader.

Il Pd, ad esempio, dovrebbe ormai già sapere che la politica del tanto peggio non trova più eccessivi consensi. Sono finiti i tempi del Pci e del cieco collante ideologico. E non desta neanche particolare interesse la sfida lanciata dai comprimari. Cosa si vuole, infatti, che possa interessare al Paese di coloro che si sbracciano in Parlamento, in tv, sulle piazze o sui giornali, dicendo tutto e il proprio contrario per tirare a campare o per non dover apparire superflui? Cosa si vuole che possano contare per i grandi numeri del pluralismo democratico i fautori della nuova partitocrazia come Fini, Di Pietro, Rutelli o Casini?

I toni apocalittici e le formule astruse, allo stesso modo dei suggerimenti interessati o di quei proclami che avrebbero la pretesa di modificare le maggioranze scaturite dalle scelte degli elettori hanno stufato. Se Casini, ad esempio, ritiene di doversi differenziare dalla politica demolitrice dell’opposizione, per ritrovare le ragioni della sua collocazione naturale nell’area moderata del Paese, faccia la sua scelta una volta per tutti. Basta con le sceneggiate! Al contrario, se ne stia all’opposizione e a tramare per un improponibile governo tecnico con Bersani, Di Pietro e Fini, sempre se il Presidente della Repubblica vorrà prestarsi all’edizione numero due del ribaltone. Una terza via non esiste. L’Italia del ventunesimo secolo, dei tempi della globalizzazione e delle grandi sfide sociali non si può più permettere la confusione della partitocrazia. Anche il “futuro” di Fini è già “passato”.

Il sistema rappresentativo dello Stato, purtroppo, alimenta la confusione e incoraggia il protagonismo degli avventurieri. Occorrerebbe metter mano alla parte seconda della Costituzione e riformare l’Ordinamento della Repubblica. Occorrerebbe consolidare la scelta bipolare e affidare, finalmente, il diritto di scelta al popolo, garantendogli quella sovranità richiamata all’art. 1 della Costituzione. Se le scelte non potranno essere modificate se non solo dagli stessi elettori, nessuno si sognerà mai di truccare le carte.

Vito Schepisi

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