09 novembre 2010

Al voto

Si dice con insistenza che in politica i termini come coerenza, riconoscenza, fedeltà, e gratitudine non abbiano lo stesso valore che hanno nella vita civile. Lo si dice per dar credito al pensiero che la politica sia divenire, realizzazione, mutamento, aggiornamento e finanche l'arte del possibile. Di certo la politica, oltre ad essere governo del presente, è strategia per il futuro, e non si può nascondere che la storia stia lì a testimoniare che i mutamenti di vita ne richiedano altrettanti nelle soluzioni. Non manca, però, chi sostiene che ci sia molto opportunismo personale o di gruppo, se non trasformismo ed indifferenza alla soluzione delle cose.

Di certo è che in politica subentrino sempre più le ambizioni personali e che prevalga più la ricerca dello scontro, che non quella, più virtuosa, dell'intesa. Le motivazioni sono da ricercare nei tatticismi e nei vantaggi personali, soprattutto di chi fa politica per mestiere. Privilegiare lo scontro è diventato un metodo per acquisire maggiore visibilità politica. E quando lo si fa da una posizione istituzionale, come nel caso di Fini, il controcanto moltiplica almeno per 10 la visibilità.

Per offrire una versione meno cruda e spregevole del proprio modo di agire, coloro che utilizzano la politica come mestiere, si cautelano dietro l'art 67 della Costituzione che stabilisce che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Sarebbe bene ricordare, però, che l'art 67 è stato voluto dai Costituenti per impedire che il mandato popolare fosse condizionato, magari vincolato al sistema della partitocrazia, non per stabilire che un parlamentare che ottenga un mandato popolare possa, senza alcun vincolo etico, rappresentare in Parlamento altre istanze, se non addirittura soluzioni opposte a quelle per le quali il corpo elettorale ha espresso il proprio gradimento.

Interpretare la Costituzione come la legittimazione dei voltagabbana è un errore, come è altrettanto sbagliato volerla rappresentare alla stregua dei Dieci Comandamenti. La Carta non ha valore di assoluta sacralità: in democrazia tutto è emendabile. In passato è anche già stata sottoposta a modifiche che ne hanno leso l'equilibrio originale, col risultato d'aver in qualche modo ribaltato il peso politico a favore di funzioni prive della legittimità democratica per esercitarlo.

Si accennava in apertura al venir meno in politica, in nome dei principi dell'evoluzione e della fertilità del pensiero, di concetti che nella vita civile invece sono considerate virtù. Aggiungiamo anche che possa essere persino virtuoso ricredersi su alcune scelte già fatte, ed accogliere le osservazioni rappresentate da altri, persino se tali da ribaltare l'esito, o far cambiare l'approccio alle questioni in discussione. Resterebbe, però da chiedersi se anche il venir meno della lealtà possa mettersi sullo stesso piano della legittimità del mutamento degli orientamenti.

Se si sostiene che Fini sia sleale, ad esempio, senza tornare a parlare della Casa di Montecarlo, fatto imputabile alla degenerazione ed all'arroganza dell'esercizio della funzione politica, ma restando nel tema della democrazia e della legittimità etica dei comportamenti politici e parlamentari, si intende riferirsi al metodo adottato da Fini e dei suoi sostenitori e non al mero pensiero.

Poniamo, ad esempio, che Fini abbia avuto le sue buone ragioni ideali per prendere le distanze dal massiccio voto popolare che nel 2008 ha legittimato la maggioranza politica di centrodestra: avrebbe allora il dovere morale di prenderne atto con lealtà. Dovrebbe dire di aver sbagliato nel chiedere agli elettori moderati, su un progetto politico comune con Forza Italia e Lega, i voti per governare l'Italia. Se fosse così, per questioni di lealtà, senza ipocrisie, come sostiene persino Di Pietro, avrebbe dovuto già da tempo chiedere di aprire la crisi di governo, per ritornare alle urne e dar modo di sottoporre la sua nuova offerta politica al giudizio degli elettori. Non può chiedere, invece, che Berlusconi apra la crisi per cambiare il quadro politico. Fini, per lealtà politica, aderisca alla richiesta di Di Pietro di una mozione di sfiducia! Ma soprattutto si dimetta subito da Presidente della Camera per il suo nuovo ruolo politico

Se sfiduciato, Berlusconi non potrà che prenderne atto e recarsi al Quirinale per dichiarare esaurita la sua esperienza, ma dichiarare esaurita finanche l'intera legislatura. Fino a nuove elezioni, infatti, il quadro politico, per il rispetto della democrazia e della sovranità popolare (art. 1 della Costituzione) non può che restare immutato, in quanto resta ancora riferimento della maggioranza politica su cui il corpo elettorale ha riversato il suo consenso.

Vito Schepisi

2 commenti:

Antonio Gabriele Fucilone ha detto...

Diciamo che gli antiberlusconiani (Fini compreso) siano oggi smentiti dai fatti.
L'Italia ha grande prestigio mondiale e quanto successo a Lisbona lo dimostra.
L'ho anche scritto sul mio blog http://italiaemondo.blogspot.com.
Cordiali saluti.

dario ha detto...

l'incorreggibile fucilone....i fatti oggi non credo proprio che siano dalla parte di berlusconi.....