C’era chi ci aveva sperato. Ma i sogni come si sa svaniscono all’alba.
La notizia era di quelle che, sebbene per diverse motivazioni, poteva definirsi di gradimento trasversale. Si inquadrava propriamente nel mezzo, tra gli effetti del qualunquismo e quelli della reazione istintiva: in quel diffuso moto di disappunto che anima gli italiani avverso la politica, con tutti i suoi rituali, i suoi giochi ed i suoi abusi.
Le Regioni che riconsegnavano le deleghe al Governo per la gestione di alcuni servizi di pubblica utilità, poteva anche essere una buona notizia. Un’ottima notizia!
Siamo tra quelli che sono convinti che gli enti locali, e le regioni in maggior misura, come anche autorevolmente rilevato dalla Corte dei Conti, non facciano molta attenzione alla spesa, anzi, al contrario, se ne servano per alimentare un sottobosco corrotto. Nel recente passato, sono stati tantissimi gli esempi di allegra gestione. Molto spesso ci si è ritrovati, infatti, a riflettere sulle contraddizioni che sorgono tra le macroscopiche carenze di servizi in alcune realtà del Paese ed il ricorso alle spese superflue.
Dinanzi alle megalomanie inutili, all’uso clientelare, se non criminoso, delle deleghe amministrative, dinanzi ai disavanzi finanziari di gestione, che per l’incidenza sul debito pubblico concorrono a danneggiare l’intero Paese, ci si chiede se tutte le carenze e gli eccessi siano oggi compatibili con la presenza di un mercato globale sempre più difficile con cui quotidianamente occorre misurarsi.
Siamo tra quelli che immaginano che con la manovra finanziaria, il cui decreto è appena passato al Senato ed è in attesa di definitiva conversione in legge alla Camera, si sia appena all’inizio dell’opera che ci attende da questo Governo, per la razionalizzazione e la ritrovata efficienza della spesa pubblica. Non è immaginabile, infatti, pensare di proseguire nell’andazzo percorso negli anni passati.
Il federalismo fiscale potrà forse servire per mettere dinanzi alle proprie responsabilità i governatori delle regioni e potrà far comprendere agli elettori ciò che è legittimo che debbano aspettarsi dagli amministratori locali. Con il federalismo potrà, forse, essere più facile far comprendere ai cittadini quanto sia più utile guardare alla qualità e quantità dei servizi che le amministrazioni sono state capaci di mettere a disposizione delle comunità o che saranno in grado di poter assicurare in futuro che non, invece, guardare alla vita privata di Berlusconi. Si potrà evitare di cadere nella trappola della stampa schierata che ha utilizzato il gossip e le escort per distogliere l’attenzione da alcune questioni amministrative, le cui gravità avrebbero potuto assumere, ad esempio in Puglia, grande rilevanza per il voto locale.
La qualità della vita nelle città potrà, infatti, mutare con il ricorso alle scelte amministrative e cogliendo le opportunità di sviluppo sul territorio. E non come abbiamo visto, invece, non realizzarsi con il mancato uso dei fondi europei destinati allo sviluppo delle aree sottoutilizzate. Il mezzogiorno, ad esempio, nel suo insieme, ha avuto la possibilità di uscire dalle sue difficoltà, che risalgono ai tempi dell’Unità d’Italia (150 anni fa), utilizzando, per gli investimenti sul territorio e per la modernizzazione degli impianti, i fondi messi a disposizione dall’Europa. Non lo ha fatto. Non lo ha saputo fare. Gli amministratori sono stati, forse, troppo impegnati ad inseguire le spese di rappresentanza, le consulenze, i lussi, le apparenze, le pubblicità istituzionali, le politiche clientelari ovvero i fumosi principi ideologici.
Immaginare così che i governatori delle regioni fossero sul punto di rimettere le deleghe al Governo, e quindi pensare che quest’ultimo potesse nominare dei commissari per la gestione e naturalmente per il controllo della pertinenza della spesa, ci aveva persino riempito di buone speranze.
Nessuna cosa in campo amministrativo può essere peggiore di ciò che ben si conosce, specialmente se ciò che c’è è molto simile al niente. E finanziare il niente è stupido e dannoso. Se l’amministratore, infatti, ha la possibilità di avere soldi, li spende anche per il niente. Nessuno, motu proprio, rinuncia mai alla gestione di fondi. Il superfluo nasce sempre da disponibilità iniziali a cui, in futuro, nessuno è più disposto a rinunciare. Si creano strutture, si creano competenze, si creano professionalità ed organici che restano a vita, anche quando viene a mancare l’utilità e la ragione di queste presenze. Il sistema pubblico, come si sa, è antieconomico per definizione perché, da parte di chi amministra, spesso non c’è altro interesse se non quello di poter disporre di fondi. Il potere, infatti, sta nel gestire e per farlo occorre avere facoltà di spesa. E’ una spirale poco virtuosa, ma che, purtroppo, si involge sempre così.
La notizia c’era, la Conferenza delle Regioni compatta l’aveva lanciata. Sapevamo che era solo una provocazione. Sapevamo che sarebbe stato un sogno destinato a svanire in una notte di inizio estate. Non ci avevamo veramente creduto sino in fondo, ma la speranza l’avevamo nutrita. Conosciamo i nostri politici. Sappiamo che in Italia il passo tra la politica e la sceneggiata è molto breve, sapevamo che anche questa volta doveva trattarsi del solito festival degli strilli che, per il suo andazzo rituale, si doveva dispiegare tra le crisi di pianto ed il disperato strappar di vestiti, ma ci avevamo sperato. Peccato!
Vito Schepisi
La notizia era di quelle che, sebbene per diverse motivazioni, poteva definirsi di gradimento trasversale. Si inquadrava propriamente nel mezzo, tra gli effetti del qualunquismo e quelli della reazione istintiva: in quel diffuso moto di disappunto che anima gli italiani avverso la politica, con tutti i suoi rituali, i suoi giochi ed i suoi abusi.
Le Regioni che riconsegnavano le deleghe al Governo per la gestione di alcuni servizi di pubblica utilità, poteva anche essere una buona notizia. Un’ottima notizia!
Siamo tra quelli che sono convinti che gli enti locali, e le regioni in maggior misura, come anche autorevolmente rilevato dalla Corte dei Conti, non facciano molta attenzione alla spesa, anzi, al contrario, se ne servano per alimentare un sottobosco corrotto. Nel recente passato, sono stati tantissimi gli esempi di allegra gestione. Molto spesso ci si è ritrovati, infatti, a riflettere sulle contraddizioni che sorgono tra le macroscopiche carenze di servizi in alcune realtà del Paese ed il ricorso alle spese superflue.
Dinanzi alle megalomanie inutili, all’uso clientelare, se non criminoso, delle deleghe amministrative, dinanzi ai disavanzi finanziari di gestione, che per l’incidenza sul debito pubblico concorrono a danneggiare l’intero Paese, ci si chiede se tutte le carenze e gli eccessi siano oggi compatibili con la presenza di un mercato globale sempre più difficile con cui quotidianamente occorre misurarsi.
Siamo tra quelli che immaginano che con la manovra finanziaria, il cui decreto è appena passato al Senato ed è in attesa di definitiva conversione in legge alla Camera, si sia appena all’inizio dell’opera che ci attende da questo Governo, per la razionalizzazione e la ritrovata efficienza della spesa pubblica. Non è immaginabile, infatti, pensare di proseguire nell’andazzo percorso negli anni passati.
Il federalismo fiscale potrà forse servire per mettere dinanzi alle proprie responsabilità i governatori delle regioni e potrà far comprendere agli elettori ciò che è legittimo che debbano aspettarsi dagli amministratori locali. Con il federalismo potrà, forse, essere più facile far comprendere ai cittadini quanto sia più utile guardare alla qualità e quantità dei servizi che le amministrazioni sono state capaci di mettere a disposizione delle comunità o che saranno in grado di poter assicurare in futuro che non, invece, guardare alla vita privata di Berlusconi. Si potrà evitare di cadere nella trappola della stampa schierata che ha utilizzato il gossip e le escort per distogliere l’attenzione da alcune questioni amministrative, le cui gravità avrebbero potuto assumere, ad esempio in Puglia, grande rilevanza per il voto locale.
La qualità della vita nelle città potrà, infatti, mutare con il ricorso alle scelte amministrative e cogliendo le opportunità di sviluppo sul territorio. E non come abbiamo visto, invece, non realizzarsi con il mancato uso dei fondi europei destinati allo sviluppo delle aree sottoutilizzate. Il mezzogiorno, ad esempio, nel suo insieme, ha avuto la possibilità di uscire dalle sue difficoltà, che risalgono ai tempi dell’Unità d’Italia (150 anni fa), utilizzando, per gli investimenti sul territorio e per la modernizzazione degli impianti, i fondi messi a disposizione dall’Europa. Non lo ha fatto. Non lo ha saputo fare. Gli amministratori sono stati, forse, troppo impegnati ad inseguire le spese di rappresentanza, le consulenze, i lussi, le apparenze, le pubblicità istituzionali, le politiche clientelari ovvero i fumosi principi ideologici.
Immaginare così che i governatori delle regioni fossero sul punto di rimettere le deleghe al Governo, e quindi pensare che quest’ultimo potesse nominare dei commissari per la gestione e naturalmente per il controllo della pertinenza della spesa, ci aveva persino riempito di buone speranze.
Nessuna cosa in campo amministrativo può essere peggiore di ciò che ben si conosce, specialmente se ciò che c’è è molto simile al niente. E finanziare il niente è stupido e dannoso. Se l’amministratore, infatti, ha la possibilità di avere soldi, li spende anche per il niente. Nessuno, motu proprio, rinuncia mai alla gestione di fondi. Il superfluo nasce sempre da disponibilità iniziali a cui, in futuro, nessuno è più disposto a rinunciare. Si creano strutture, si creano competenze, si creano professionalità ed organici che restano a vita, anche quando viene a mancare l’utilità e la ragione di queste presenze. Il sistema pubblico, come si sa, è antieconomico per definizione perché, da parte di chi amministra, spesso non c’è altro interesse se non quello di poter disporre di fondi. Il potere, infatti, sta nel gestire e per farlo occorre avere facoltà di spesa. E’ una spirale poco virtuosa, ma che, purtroppo, si involge sempre così.
La notizia c’era, la Conferenza delle Regioni compatta l’aveva lanciata. Sapevamo che era solo una provocazione. Sapevamo che sarebbe stato un sogno destinato a svanire in una notte di inizio estate. Non ci avevamo veramente creduto sino in fondo, ma la speranza l’avevamo nutrita. Conosciamo i nostri politici. Sappiamo che in Italia il passo tra la politica e la sceneggiata è molto breve, sapevamo che anche questa volta doveva trattarsi del solito festival degli strilli che, per il suo andazzo rituale, si doveva dispiegare tra le crisi di pianto ed il disperato strappar di vestiti, ma ci avevamo sperato. Peccato!
Vito Schepisi
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