E’ serrato il dibattito nel PD sulla fisionomia del Partito, sulla collocazione nelle grandi famiglie della democrazia europea, sulle scelte strategiche dell’opposizione e sugli uomini.
In un anno sono successe tante cose ed il quadro si è modificato completamente. Resta però uguale la grande confusione della scorsa estate, quando non esisteva ancora il PD e le componenti maggioritarie dell’Unione si apprestavano a fondare il nuovo soggetto politico. Si ebbe allora l’impressione che sorgesse, non per un comune sentire e per l’individuazione di una matrice politica in cui riconoscersi, ma solo per l’ambizione di creare un grande partito unico della sinistra e, per interessati calcoli elettorali, il primo partito italiano per consistenza numerica.
Per questa ragione il PD è parso più come una somma di influenze correntizie che come un grande partito riformista. Più uno strumento elettorale compromissorio tra cattolici di sinistra e post comunisti che una svolta matura di matrice liberale e progressista.
L’operazione che si voleva che emergesse dalla base per un nuovo modo d’essere sinistra moderna e democratica, sul solco dell’omonimo Partito Democratico degli Stati Uniti, naufragava di fatto nel più tipico dei verticismi. Si misuravano col bilancino ruoli e poltrone e si creava un apparente investitura democratica intorno alla figura del leader indicato dai vertici, Walter Veltroni. Con l’espediente delle primarie, con Prodi oramai fuori gioco e con assoluta mancanza di diverse alternative possibili, Veltroni veniva “nominato” segretario del PD. Persino Bersani era stato invitato a non presentare la sua candidatura. Una democrazia apparente. Le primarie si celebravano così, come una mera formalità, per mancanza di credibili candidature contrapposte.
Non è in questo modo che si forma un leader politico. Anche un brocco prevale in una competizione con i cavalli da traino. In questo modo si finisce invece col bruciare i potenziali leader politici, facendo perdere loro la necessaria autorevolezza.
Per la seconda volta, dopo l’investitura di Prodi, la sinistra aveva ripercorso la stessa strada di far calare dall’alto il leader designato dai potentati politici con lo scopo di vincolarlo alle macchine dei partiti e delle lobbies di riferimento.
Come allora, quando grande assente era la politica, mentre si diffondeva la crisi della sinistra riformista con la sua incapacità di elaborare proposte per affrontare le difficoltà del Paese, anche oggi grande assente a sinistra è sempre la politica.
C’è una manifesta incapacità di svolgere opposizione propositiva. La sinistra italiana non riesce ad uscire dall’abitudine al no pregiudiziale e rivela la sua incapacità di trovare spazi di confronto e di dialogo sulle iniziative del Governo e del Parlamento. Sembra che ci sia una barriera ideologica eretta per mancanza di cultura pluralista. In larghi strati della sinistra si manifesta una sorta di complesso di inferiorità verso coloro che sposano le soluzioni sbrigative ed autoritarie. Quasi una sindrome Di Pietro.
Sono due le cose che in questa realtà preoccupano:
la prima fa riferimento alla mancanza di una opposizione in grado di essere credibile come alternativa - cosa che deve essere considerata essenziale per una democrazia liberale compiuta;
la seconda attiene, invece, al dialogo sulle riforme dello Stato e della Costituzione.
E’ diventata, infatti, indifferibile l’esigenze di procedere alla scrittura delle nuove regole che sanciscano i principi della democrazia, della sovranità popolare, dell’esercizio e del controllo dei poteri. E’ improcrastinabile l’esigenza di adeguare la Costituzione Italiana sia ai mutati scenari proposti da una democrazia parlamentare consolidata, che alla necessaria velocità dei percorsi decisionali nell’era del “tempo reale” e della “globalizzazione” che coinvolge informazione, produzione, mercati e fenomeni economico-sociali in genere.
“Il tempo del "ma anche" è scaduto” - afferma Arturo Parisi - unico che nel PD non mostra ritrosia nella critica a Veltroni. Ma non è solo questione del “ma anche” perché mancano persino i concetti da accomunare, manca del tutto una linea politica ed uno spazio su cui muovere i passi della proposta politica alternativa. E senza una proposta politica, cioè senza un indirizzo verso cui dirigersi si cammina a vuoto e si sprecano inutilmente energie.
E’ il caso della campagna della raccolta di cinque milioni di firme per “salvare l’Italia”. Un’iniziativa contestata da diverse personalità del PD e che non ha senso perché l’opposizione, che è parsa pregiudiziale, alle iniziative di questo governo è intesa invece dagli italiani, come indicano i sondaggi di diversa provenienza, come una incomposta reazione tesa ad impedire che l’identità e l’autorevolezza del Paese vengano recuperate. Quasi il volere un’immagine irrimediabilmente compromessa della Nazione. C’è una immaturità democratica ed una mancanza di spirito nazionale che spinge a compromettere gli interessi dell’Italia pur di far prevalere un giudizio negativo sulle azioni di governo.
Salvare l’Italia! Ma salvarla da cosa? Gli italiani nella scorsa primavera hanno votato per la coalizione di centrodestra per salvare il Paese dal declino in cui Prodi lo stava conducendo.
I “ma anche” di Veltroni non sono stati ritenuti credibili dalla maggioranza degli elettori. E non è stata ritenuta credibile una sinistra riformista che, con i suoi ministri e sottosegretari e con i suoi leaders, non si era mostrata capace di varare riforme ma, al contrario, era parsa impegnata solo ad ostacolarne il percorso. Non è stato ritenuto credibile questo PD che ripresentava i volti arcigni ed intolleranti di biechi conservatori appartenenti ad una casta impegnata nella gestione dei poteri che in Italia si annida imperturbabile da decenni e che svilisce l’operosità ed il coraggio di lavoratori ed imprese.
Invece di raccogliere le firme per “salvare l’Italia” il PD potrebbe impegnarsi a capire le ragioni della sua sconfitta.
Ha ragione Arturo Parisi quando afferma che “il PD da schizofrenico sta diventando depresso”!
In un anno sono successe tante cose ed il quadro si è modificato completamente. Resta però uguale la grande confusione della scorsa estate, quando non esisteva ancora il PD e le componenti maggioritarie dell’Unione si apprestavano a fondare il nuovo soggetto politico. Si ebbe allora l’impressione che sorgesse, non per un comune sentire e per l’individuazione di una matrice politica in cui riconoscersi, ma solo per l’ambizione di creare un grande partito unico della sinistra e, per interessati calcoli elettorali, il primo partito italiano per consistenza numerica.
Per questa ragione il PD è parso più come una somma di influenze correntizie che come un grande partito riformista. Più uno strumento elettorale compromissorio tra cattolici di sinistra e post comunisti che una svolta matura di matrice liberale e progressista.
L’operazione che si voleva che emergesse dalla base per un nuovo modo d’essere sinistra moderna e democratica, sul solco dell’omonimo Partito Democratico degli Stati Uniti, naufragava di fatto nel più tipico dei verticismi. Si misuravano col bilancino ruoli e poltrone e si creava un apparente investitura democratica intorno alla figura del leader indicato dai vertici, Walter Veltroni. Con l’espediente delle primarie, con Prodi oramai fuori gioco e con assoluta mancanza di diverse alternative possibili, Veltroni veniva “nominato” segretario del PD. Persino Bersani era stato invitato a non presentare la sua candidatura. Una democrazia apparente. Le primarie si celebravano così, come una mera formalità, per mancanza di credibili candidature contrapposte.
Non è in questo modo che si forma un leader politico. Anche un brocco prevale in una competizione con i cavalli da traino. In questo modo si finisce invece col bruciare i potenziali leader politici, facendo perdere loro la necessaria autorevolezza.
Per la seconda volta, dopo l’investitura di Prodi, la sinistra aveva ripercorso la stessa strada di far calare dall’alto il leader designato dai potentati politici con lo scopo di vincolarlo alle macchine dei partiti e delle lobbies di riferimento.
Come allora, quando grande assente era la politica, mentre si diffondeva la crisi della sinistra riformista con la sua incapacità di elaborare proposte per affrontare le difficoltà del Paese, anche oggi grande assente a sinistra è sempre la politica.
C’è una manifesta incapacità di svolgere opposizione propositiva. La sinistra italiana non riesce ad uscire dall’abitudine al no pregiudiziale e rivela la sua incapacità di trovare spazi di confronto e di dialogo sulle iniziative del Governo e del Parlamento. Sembra che ci sia una barriera ideologica eretta per mancanza di cultura pluralista. In larghi strati della sinistra si manifesta una sorta di complesso di inferiorità verso coloro che sposano le soluzioni sbrigative ed autoritarie. Quasi una sindrome Di Pietro.
Sono due le cose che in questa realtà preoccupano:
la prima fa riferimento alla mancanza di una opposizione in grado di essere credibile come alternativa - cosa che deve essere considerata essenziale per una democrazia liberale compiuta;
la seconda attiene, invece, al dialogo sulle riforme dello Stato e della Costituzione.
E’ diventata, infatti, indifferibile l’esigenze di procedere alla scrittura delle nuove regole che sanciscano i principi della democrazia, della sovranità popolare, dell’esercizio e del controllo dei poteri. E’ improcrastinabile l’esigenza di adeguare la Costituzione Italiana sia ai mutati scenari proposti da una democrazia parlamentare consolidata, che alla necessaria velocità dei percorsi decisionali nell’era del “tempo reale” e della “globalizzazione” che coinvolge informazione, produzione, mercati e fenomeni economico-sociali in genere.
“Il tempo del "ma anche" è scaduto” - afferma Arturo Parisi - unico che nel PD non mostra ritrosia nella critica a Veltroni. Ma non è solo questione del “ma anche” perché mancano persino i concetti da accomunare, manca del tutto una linea politica ed uno spazio su cui muovere i passi della proposta politica alternativa. E senza una proposta politica, cioè senza un indirizzo verso cui dirigersi si cammina a vuoto e si sprecano inutilmente energie.
E’ il caso della campagna della raccolta di cinque milioni di firme per “salvare l’Italia”. Un’iniziativa contestata da diverse personalità del PD e che non ha senso perché l’opposizione, che è parsa pregiudiziale, alle iniziative di questo governo è intesa invece dagli italiani, come indicano i sondaggi di diversa provenienza, come una incomposta reazione tesa ad impedire che l’identità e l’autorevolezza del Paese vengano recuperate. Quasi il volere un’immagine irrimediabilmente compromessa della Nazione. C’è una immaturità democratica ed una mancanza di spirito nazionale che spinge a compromettere gli interessi dell’Italia pur di far prevalere un giudizio negativo sulle azioni di governo.
Salvare l’Italia! Ma salvarla da cosa? Gli italiani nella scorsa primavera hanno votato per la coalizione di centrodestra per salvare il Paese dal declino in cui Prodi lo stava conducendo.
I “ma anche” di Veltroni non sono stati ritenuti credibili dalla maggioranza degli elettori. E non è stata ritenuta credibile una sinistra riformista che, con i suoi ministri e sottosegretari e con i suoi leaders, non si era mostrata capace di varare riforme ma, al contrario, era parsa impegnata solo ad ostacolarne il percorso. Non è stato ritenuto credibile questo PD che ripresentava i volti arcigni ed intolleranti di biechi conservatori appartenenti ad una casta impegnata nella gestione dei poteri che in Italia si annida imperturbabile da decenni e che svilisce l’operosità ed il coraggio di lavoratori ed imprese.
Invece di raccogliere le firme per “salvare l’Italia” il PD potrebbe impegnarsi a capire le ragioni della sua sconfitta.
Ha ragione Arturo Parisi quando afferma che “il PD da schizofrenico sta diventando depresso”!
Vito Schepisi
4 commenti:
Caro Schepisi.
Mi permetto di dire due parole sulla vicenda del Partito Democratico.
Quanto sta succedendo in tale partito ha radici profonde e risale a prima della sua fondazione ufficiale, quando c' era ancora il vecchio "Ulivo", formato dai Democratici di Sinistra e dalla Margherita.
Il Partito Democratico è nato da una fusione fredda tra quei due soggetti politici, portata avanti senza costruire una "scala di valori" che devono essere di riferimento di un partito.
In poche parole il PD è una formazione artificiosa in cui c'è tutto e il contrario di tutto.
Non mi sorprenderei se il PD dovesse implodere, come "vaticinato" dal sindaco di Venezia Massimo Cacciari.
In pratica il PD è come Fonthill Abbey, un' abbazia fatta costruire nel secolo XVIII dall' eccentrico possidente inglese William Beckford che per accelerare i lavori fece ubriacare gli operai e decise di fare la sua opera mastodontica sulle piccole fondamenta della casa di campagna preesistente.
Il risultato?
Fu una rovina totale!
Il PD mi sembra proprio come Fonthill Abbey.
Cordiali saluti.
Ciao fucilò.. concordo pienamente con te. Se ricordi ho scritto un articolo sulla stranezza della convergenza in un unico partito di tre filoni di pensiero e di cultura del diciannovesimo e ventesimo secolo: quello cattolico, quello marxista e quello liberale. Anche se i DS dopo la caduta del muro ed il fallimento del mito comunista hanno messo in soffitta Marx (a mio avviso troppo tardi per essere credibili)e così gli ex comunisti, molto tempo dopo che nel resto d'Europa, hanno sconfessato la rivoluzione del proletariato sposando il riformismo (allora Craxi aveva ragione!). Come vedi le contraddizioni sono tante persino all'interno di ogni componente, come è anche strana una margherita fatta di laici ed ex radicali insieme a cattolici integralisti ed ex dorotei. Ma può essere ritenuto credibile un Partito Democratico, per definizione negli USA "Liberal", con frange insignificanti di ex liberali ed ex repubblicani?
Ma può essere "liberal" un partito occupato prevalentemente da ex o post comunisti?
Cia Fucilò e grazie per la visita. Un caro saluto. Vito
PS: ho scritto di legalità e giustizia nel mio ultimo post.
Caro Schepisi
Concordo con te.
Il passaggio da PCI a PDS e poi a DS non ha implicato un cambiamento della mentalità delle persone che stanno a Sinistra!
In pratica, a parole hanno messo Marx in soffitta ma nei fatti il marxismo è ancora presente in loro.
Cordiali saluti.
Caro amico penso che una cosa sia essere di sinistra sulla scia di un modo d'essere, per luoghi comuni, perchè si è stati bersagliati da una propaganda che ha diffuso falsi abbinamenti: sinistra-solidarietà; sinistra-pace; sinistra-giustizia sociale; sinistra-progresso, etc...
Sono tutte falsità, come sappiamo, perchè la solidarietà, la giustizia sociale, la pace, il progresso sono possibili laddove prevalgono i valori dell'uomo (individuo). E laddove si confermano l'insieme di regole e di principi su cui l'uomo è chiamato a competere per occupare il suo ruolo nella società. E' necessaria, così, una realtà politica liberale, pluralista nella ricerca dei percorsi più virtuosi, per offrire la possibilità a tutti di integrarsi ed operare in modo proficuo per se e per gli altri. Una società liberale non può circoscriversi in uno spazio rispetto, quanto è la semplificazione di un modo d'essere "per definizione" di sinistra. La sinistra spesso è un mito, uno strumento per occupare il potere, quando non un vero e proprio ghetto ideologico. C'è chi ha ritenuto che ci fosse un modo, ed addirittura un insieme di parole per "dire qulcosa di sinistra". Luoghi comuni, diversioni furbesche, puerili compiacimenti di integrità intellettuale: come dire, ad esempio, che ci sia l'esigenza di rendere potabile l'acqua da bere. Anche questa è una forma di "fondamentalismo" ideologico: una follia quando si associa alla sedicente professione di intellettuale. Anche l'anfifascismo non è la sinistra se non per l'assolutismo competitivo di un derby nella stessa comunità. Per anni è stata issata la bandiera della lotta al fascismo come un valore della sinistra. Ma se il fascismo è stato sinistra! Ma se il fascismo nasce dal socialismo e dalla sinistra storica italiana! Un derby in famiglia per l'appunto.
Allora come dicevo all'inizio una cosa è essere di sinistra per moda e per scimmiottare l'altro, perchè "politicamente corretto" ed un'altra essere di sinistra per scelta culturale, in particolare in Italia ove la sinistra è stata monopolizzata dai comunisti e dalla loro successiva trasformazione. Mi domando, così, come si fa ad essere "di sinistra" in un'Italia, ridotta ad essere fanalino di coda dall'Europa, recuperata persino dalla Spagna e dalla Grecia, interessate a forme di dittature fino a tempi più recenti rispetto al nostro Paese? I nostri servizi sociali sono da terzo mondo, perchè la nostra organizzazione sociale è stata dominata dagli anni 60 in poi dalla sinistra sindacale e dal compromesso strisciante tra i poteri dello Stato. Si dava un po' di tutto a tutti, per facciata, ma soprattutto tanto a pochi scelti, a spese delle generazioni future...da qui il nostro enorme debito pubblico. L'abitudine è sempre quella, come l'attitudine di Prodi, ad esempio, di svendere pezzi di Paese e di patrimonio nazionale, acquisito a spese dei lavoratori italiani, ai suoi sodali. Caro Fucilne, avrai anche letto del falso in bilancio del 2006 e della bufala del risanamento. Sono rimaste in eredità, dell'era scellerata di Prodi, le aliquote rialzate che servono a finanziare l'aumento dei costi della spesa pubblica tenuta allegra grazie a politiche lottizzate tra le anime di un'unione che stentava a mantenersi tale. Come non soffermarsi ad esempio, a sottolineare il costo di oltre 10 miliardi di Euro di uno scalone diventato scalino per compiacere una base comunista che non sapeva cosa voleva ma lo voleva, e subito?
Un caro saluto. Vito
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