24 dicembre 2006

Qualcosa è cambiato!

Sul Giornale del 23 dicembre ho letto l'Appunto di Filippo Facci che mi piace riportare. E' un chiaro esempio della "miseria" della informazione in Italia. Quest'anno sembra che un colpo di spugna abbia cancellato ogni problema. C'è Prodi e la sinistra al Governo e la parola d'ordine è partita. Solo felicità, i problemi sono finiti. Oggi va tutto bene, nonostante tutto, nonostante la finanziaria, gli effetti dell'indulto ed il senso di confusione e di precarietà tra la gente, i lavoratori, l'impresa, le famiglie, i risparmiatori, i giovani.
Ecco il testo di Filippo Facci dal titolo "Qulacosa è cambiato":


"Dove sono le barricate?
Dove sono i morti per strada, gli assalti agli alimentari, le interviste del Tg3 al ceto medio affamato e al commerciante disperato?
Dov'è il rapporto Eurispes numero tremila?
Dov'è il clima ansiogeno di Ballarò coi servizi sui pensionati che dormono sulle panchine?
Eppure è un Natale anche peggiore di quello che l’anno scorso registrò un inferno mediatico, un albero di Natale costa 27 euro anziché 25, una ghirlanda 3 euro anziché 2, palle colorate più 5 per cento, bambole più 8 per cento, borse griffate più 9, weekend in Italia più 4,5, settimana bianca più 2,6: dov'è il Corriere?
Dove sono le inchieste di Dario di Vico?
Il Codacons dice che i consumi calano del 5 per cento e che l'80 per cento delle tredicesime se ne va in assicurazioni e bollette e rate di mutui, la Confcommercio dice che cala anche il consumo di salmone e caviale e champagne (meno 6) per non parlare delle vacanze esotiche: schiere di famiglie impoverite migrano verso il Mar Rosso e abbandonano i Caraibi e l'Oceano Indiano, già il ponte di Ognissanti aveva registrato un 27 per cento di presenze in meno, dove sono i giornali?
Dov'è l'inchiesta sui bambini che alla quarta settimana non hanno più latte né panettone da intingervi?
Dov'è il Tg3 che l'anno scorso rilanciò il «Natale senza regali» nei giorni 12, 19, 22, 23, 25 e 26 dicembre?
Dov'è, dove siete?
È cambiato qualcosa?
Che cosa?"

Filippo Facci
Il Giornale 23 dicembre 2006

21 dicembre 2006

Grido di Libertà


"Signor Presidente, lei si vanta di aver dato al nostro paese una libertà della quale non ha mai goduto, mentre l'unica libertà che ancora non ci è stata tolta è quella di respirare e camminare, per il resto non abbiamo mai vissuto in una situazione peggiore per quanto concerne le libertà individuali e collettive.
Probabilmente non condividiamo il significato della parola libertà.
In una società libera gli studenti non sono cacciati dalle università in quanto dissidenti, non sono pestati regolarmente dai suoi sostenitori perché contrari al suo governo, non si vedono negare il diritto a organizzarsi in associazioni o a pubblicare riviste.
Lei ci ha accusato di essere agenti di potenze straniere, se riuscirà a dimostrare questa sua accusa ci autoimpiccheremo per aver tradito il nostro paese.
Quelle grida che lei ha ascoltato lunedì, non erano voci individuali, era la voce di un popolo che chiede libertà, democrazia e giustizia.

Impari ad ascoltarla."


Lettera scritta dagli studenti dell'Università di Teheran al Presidente Ahmanidenejad - Teheran dicembre 2006

20 dicembre 2006

Il Girasole e la Luna



Il Girasole e la Luna
di Erica Di Febo

Casa editrice "Prometheus" di Milano
41 poesie scritte tra il 2003 ed il 2005
volume di 50 pagine - Collana "Le Camene"
costo € 7,00

Prefazione del poeta Alessandro Villa, fondatore del Centro Giovani e Poesia di Triuggio(MI)





“Non esiste gioia che nasconda a se stessa
il proprio dolore…”


Io sono girasole e luna,
tu sei ombra che nasconde.
Parlami del buio,
quando luce,
lieve,
apparirà.
Ti racconterò come,
sorpresa d’estate e sollievo d’inverno,
la fine e il principio,
conosco.


“Non esiste forza che nasconda a se stessa le proprie debolezze.”
*
Erica Di Febo
Pagina 49 poesia conclusiva da cui prende il nome il volume

16 dicembre 2006

Una fiducia indecente


Si dovrebbe riflettere sul fatto che in un’Italia retta da una democrazia rappresentativa, divisa perfettamente in due alle ultime elezioni, i senatori a vita invece siano divisi solo in una parte politica.
C’è qualcosa che non funziona in questo meccanismo.
Il buon senso vorrebbe che questi uomini illustri rappresentassero il Paese, ne fossero la coscienza critica e propositiva, ne incarnassero l’ingegno e l’impegno.
Ma il Paese è schierato al cento per cento solo da una parte?
E’ mai questo il Paese del pensiero unico?
Se un osservatore asettico dovesse guardare verso il voto espresso nei reiterati appelli alla fiducia, nonché nelle elezioni delle cariche istituzionali e delle commissioni permanenti del Senato della Repubblica otterrebbe un’idea distorta del sentimento popolare.
Sarebbe portato ad osservare che in Italia prevale una coscienza solidale, un comune sentire, una cultura monolitica, un’espressione non da democrazia liberale ma da democrazia popolare.
Quelle forme che molti governanti di oggi, anni fa, applicate nei paesi dell'est europeo, spacciavano per miti della democrazia, della civiltà e della felicità sociale e che, invece, si sono rivelati come sacche di miseria e di ingiustizia, oltre che di violenza e repressione del pensiero.
Uno Stato che sceglie e decide servendosi di un manipolo di parlamentari, insediati per nomina o per diritto, anche su questioni prettamente tecniche e squisitamente politiche come una finanziaria.
Il Laticlavio a vita era stato pensato, invece, dai costituenti come un’opportunità per il Paese e per il Parlamento.
Una facoltà di potersi dotare di fonti di conoscenza ed esperienza da adoperare nella formazione delle leggi.
L’opportunità di servirsi di uomini, scelti tra il popolo, per aver rappresentato degnamente il Paese nelle arti, nelle scienze e dell'azione civile, scelti per essere nobili esempi di dirittura etica sui grandi temi del pluralismo e della tolleranza e garanti credibili nella indifferibile scelta dei valori della democrazia e dell’identità nazionale del popolo.
Ed Invece?
Invece vengono indecentemente utilizzati come massa votante, per invertire una maggioranza voluta dal popolo, per modificare gli assetti stabiliti dalle consultazioni elettorali dove il popolo sovrano ha espresso le sue scelte politiche e parlamentari.
Prestarsi a questo gioco non solo è umiliante per chi si presta ma anche indecente per coloro che fanno uso di questa “massa manovra”, utilizzata in chiaro spregio sia dello spirito costituente che della volontà popolare.
Non può sfuggire agli uni (senatori a vita) ed agli altri (partiti della maggioranza) che c’è una parte dell’ Italia che è maggioranza nel Paese che non sente più proprio questo Governo, c’è un’Italia quasi intera che non sente adeguata questa manovra finanziaria.
Una grossa fetta dell’Italia che considera immorale il comportamento di uomini, non investiti da mandato popolare, che mantengono in vita una maggioranza ed un Governo che considerano il peggiore che ci sia mai stato.


Vito Schepisi

13 dicembre 2006

Il Nazifondamentalismo



Non so se sia ammissibile che un capo di stato possa asserire, come ha fatto Mahmud Ahmadinejad, chiudendo i lavori della conferenza internazionale sulla negazione dell’Olocausto
Israele scomparirà presto
e continuare a mantenere rapporti diplomatici con gran parte dei paesi del mondo, Italia compresa.
E’ da tempo ormai che vengono reiterate queste minacce, senza che la comunità internazionale provveda in alcun modo a chiarire che un proposito del genere non può rientrare in nessuna casistica delle controversie tra i popoli.
Eppure l’Iran mantiene regolari rapporti diplomatici con le cancellerie di tutto il mondo, o quasi.
Tra i paesi che il presidente iraniano ritiene vicini l’Italia è in primo piano.
Il nostro ministro degli esteri, infatti, ha già ritenuto ammissibile il proposito dell’Iran di fornirsi della tecnologia atomica, in dispregio ai trattati internazionali sulla non proliferazione degli armamenti nucleari.
Il Presidente del Consiglio Prodi, in precedenza, non solo ha incontrato, di ritorno dal suo viaggio in Cina, lo stesso Ahmadinejad a New York in sede Onu, unico leader occidentale a farlo, ma in precedenza aveva proposto la mediazione del leader iraniano per i focolai bellici accesi dagli attacchi degli Hezbollah libanesi sul territorio di Israele.
E’ il caso di dire che per Prodi consegnare non solo i fiammiferi, ma anche la benzina, nelle mani dei piromani sia azione corretta.
E’ inquietante non solo la reiterata minaccia del dittatore iraniano, ma anche la sfrontatezza di tenere a Teheran una conferenza internazionale con il turpe scopo di negare l’Olocausto.
La repressione degli ebrei, per i fondamentalisti radicali iraniani, non è mai esistita.
Tutto questo nonostante che, con il passar del tempo, emergano ancora testimonianze e documentazioni sull’antisemitismo che è stato non solo fenomeno nazista ma anche diffuso nei regimi popolari dei paesi comunisti dell’est europeo.
Lo storico austriaco Raul Hilberg, noto per la sua attività di ricercatore e storico dell'Olocausto, all’inizio di questa settimana a Berlino in coda ai lavori della conferenza su "L'Olocausto nella memoria transnazionale" ha dichiarato: "La realtà emersa dai miei studi è che gli ebrei deceduti a causa delle persecuzioni naziste sono stati circa 5 milioni e centomila. Due milioni e novecentomila sono morti nei lager, un milione e quattrocentomila trucidati in esecuzioni di massa, ottocentomila nei ghetti.
Questa cifra comprende anche i settemila ebrei italiani, deportati prevalentemente da Roma, Milano e Trieste
".
Ma lo stesso storico ha anche affermato, a proposito dell’Iran e delle teorie negazioniste del suo Presidente, che il suo antisemitismo sia strumentale e che serva a trovare seguaci nel mondo musulmano.
Se il dittatore iraniano, però, intendeva inviare un messaggio di forza e convinzione, per imporsi come leader arabo nella lotta ad Israele, c’è da osservare che il suo proposito sia stato reso molto meno credibile dalla contestazione ricevuta dagli studenti di Teheran che hanno gridato “morte al dittatore” e dato fuoco ai suoi ritratti dinanzi ai suoi occhi.
La contestazione ricevuta lo ha reso di certo meno credibile, nonostante la pronta repressione e la sparizione fisica dei contestatori.
La sua influenza ne esce indebolita, tanto più che riemerge tra i suoi oppositori il riferimento al fallimento della sua politica economica che aveva fatto presa sulle masse e decretato il suo successo politico.
Non per questo, però, Ahmadinejad appare meno determinato a procurarsi la tecnologia per la costruzione degli ordigni atomici ed a sfidare la comunità internazionale ancora impegnata a discutere sulle sanzioni da applicare.
E’ suggestiva la tesi di David Meghnagi, libico ed ebreo, professore di Psicologia dinamica all'Università' Roma.
Si fonda su due premesse, la prima storica:
Sebbene la storia del sionismo dimostri come questa tesi non sia corretta, e' un fatto che l'esistenza di Israele viene vissuta in Europa e nel mondo occidentale come un atto di riparazione successivo alla Shoah".
La seconda psicoanalitica che fa dire al professore:
"in quanto simbolo di riparazione, gli atti di Israele non sono valutati secondo criteri politici, bensì morali, che non si applicano agli altri stati".
E’ su queste due premesse, afferma Meghnagi che , i fondamentalisti islamici hanno capito che la distruzione di Israele passa dalla negazione della Shoah.
Secondo il professore libico, la negazione dell’Olocausto trae origine dalla convinzione di dover scardinare la resistenza del mondo occidentale all’annientamento dello stato di Israele.
L’arma atomica in preparazione diviene così una grossa minaccia alla sicurezza ed alla pace ed un pericolo per la deflagrazione di un terzo conflitto mondiale.

Vito Schepisi

06 dicembre 2006

La strategia sciatta dell'Udc










Che prospettiva ha Casini e la sua Udc di portare innanzi una sua autonoma proposta politica?
Quale possibilità di successo possa avere il suo progetto, e può da sola l’Udc proporsi come alternativa alla sinistra?
A questi interrogativi oggi occorre dare risposte credibili.
Se non vi sono risposte affermative la conclusione è soltanto una: d’essersi inoltrati i centristi verso un’avventura politica.
Nella valutazione non si può non tener conto dell'attività della UDC, iniziata con la segreteria Follini, e proseguita con Cesa e Casini, che aveva ed ha come scopo ultimo quello di far scendere Berlusconi dalla sella.
Quando il vecchio segretario, ora leader del “partito di mezzo”, chiedeva un segno di discontinuità non era altro che un invito a sostituire Berlusconi con Casini.
Accompagnata al nominalismo della richiesta non vi era nessuna scelta programmatica, se non quella di un ritorno al proporzionale per favorire la strategia di condizionamento, garantendosi il mantenimento degli spazi di rappresentanza.
I centristi di Casini sono rimasti spiazzati non solo dalla tenuta ma anche dal sostanziale successo di F.I.
Sono rimasti addirittura senza fiato per i risultati raggiunti e per la quasi vittoria di Berlusconi.
Il loro successo elettorale, dopo aver avuto la massima visibilità possibile con la Presidenza della Camera e con un ruolo di distinzione nella maggioranza e partito frontiera della coalizione, è stato modesto.
Il proporzionale serviva a smarcarsi e distinguersi.
Sono sempre, però, il terzo partito della Cdl, con un quarto dei voti di FI e la metà di quelli di Alleanza Nazionale.
Avevano gridato contro la deriva populista di Berlusconi e attendevano all’incasso i voti moderati e centristi ma hanno ricavato solo un modesto raccolto.
Casini è cresciuto con la Cdl ed ha rappresentato un riferimento per l’elettorato cattolico moderato, grazie alla visibilità che la Cdl ha voluto offrirgli.
L’analogo partito nello schieramento di sinistra, l’Udeur di Mastella, supera a mala pena l’1% (uno percento) dell’elettorato.
Follini uscito dall’Udc qualche mese fa per fondare il suo “partito di mezzo” non se lo fila più nessuno.
Dai sondaggi risulta che i partiti della cdl ( Forza Italia, Lega ed Alleanza Nazionale) crescono rispetto ai risultati delle politiche del 9 e 10 aprile, mentre quello di Casini cala, almeno dell’uno per cento.
Finita la bolgia della visibilità per aver distinto la propria azione dalla Cdl, Casini e l’Udc non potranno che veder perdere costantemente i loro riferimenti elettorali.
L’Italia, e lo si è visto a Roma con la manifestazione del 2 dicembre, è bipolare, ha ormai acquisito lo spirito della scelta di campo.
La mossa dell’Udc non ha prospettive visibili ed è destinata a rivolgersi contro.
Se non dovesse trovare sbocchi diversi l’Udc vedrebbe ridursi anche la compagine parlamentare, ed anche i dirigenti centrali e locali finirebbero per abbandonare in massa il partito, non ritenendo perseguibile l’avventura del duo Cesa-Casini.
L’unico collante che sembra legare ancora la compattezza è la prospettiva del recupero di una funzione governativa in funzione dello spostamento dell’asse politico della maggioranza. Un’ipotesi, però, che sembra difficile se non impossibile.
Non hanno i numeri per sostituire tutti insieme Rifondazione Comunista, Verdi ed i comunisti di Diliberto, ed offrire il loro appoggio senza contropartite politiche significherebbe disperdere la loro funzione e ridurre ulteriormente la loro credibilità.
La strategia più probabile di un’aggregazione sul centro dei cattolici di destra e di sinistra, oltre ad essere velleitaria e di difficile realizzazione vedrebbe rispolverare la politica dei due forni di craxiana memoria.
Ma se il biporalismo ha una sua logica politica ed istituzionale, il partito di mezzo ne avrebbe solo una strumentale.
L’elettorato finirebbe per non apprezzarla.
L’aver, invece, rinunciato alla formazione del partito unico dei moderati o delle libertà è una grossa responsabilità dei centristi.
Rappresenta la rinuncia a voler lanciare la proposta politica del bipolarismo e di liberarsi delle scorie dei partiti di alternativa radicale sia di destra che di sinistra.
Se l’elettorato richiede la semplificazione della proposta politica, la risposta della Udc diviene una risposta divergente di frammentazione e di confusione.
Se dovesse passare il Partito Democratico della sinistra ed il centrodestra si dovesse ritrovare disunito e conflittuale, Casini si accollerebbe una pesante responsabilità politica nei confronti dell’elettorato e del Paese.
Disperderebbe la credibilità nel fornire risposte puntuali alla domanda di governabilità: un po’ quello che è successo nelle ultime elezioni quando si avvertiva già il rischio della divergenza e di due ben distinti processi di governabilità.
Ha sbagliato la Cdl nella scorsa legislatura a cedere all’imposizione di Follini e Casini sulla modifica del sistema elettorale.
Un sistema che alla luce dei fatti si è mostrato inadeguato e poco apprezzato dagli elettori, un sistema che ha fornito alla sinistra un’arma in più e che si è rilevato un bersaglio facile per la sua capacità di martellante propaganda.
Quella di Casini ho già avuto modo di definirla e lo confermo una strategia sciatta, di breve termine senza sguardo lungo, dettata dall’improvvisazione e dalla necessità di demolire l’immagine di un centrodestra incentrato sulla figura carismatica di Berlusconi.


Vito Schepisi

03 dicembre 2006

Una piazza mai vista


Non amo la piazza.

Non l'amo perchè è senza toni, manichea, integrata e dogmatica.

Afferma convinzioni: non discute e non si interroga, è sorda, monolitica, spesso usata.

Ho sempre scritto che la piazza non ha sempre ragione e l'affermo anche in questa occasione.

La piazza spesso tocca le corde più irrazionali del nostro modo d’essere.

Fa prevalere l'istinto alla ragione e suscita suggestioni che non sono sempre il giusto mezzo per far emergere i percorsi delle realizzazioni virtuose.

Non mi piace perchè è spesso costruita, trascinata, organizzata, elaborata, strumentalizzata.

La politica e le scelte vanno elaborate e meditate, vanno discusse e confrontate, vanno capite e condivise e la piazza può solo respingerle o acquisirle in modo acritico, senza riserve e senza convinzioni.

E' vero, però, che la piazza di ieri a Roma era fatta di gente pacifica, gli animi erano sereni, nessuna forzatura e strumentalizzazione ed i valori rievocati erano quelli del buon senso e della nostra identità.

Guardando la gente che sfilava ho spesso sentito l'orgoglio di questa Italia che esiste, che vive senza rumore, nelle attività quotidiane, nelle coscienze di donne e uomini comuni, che sente e non grida, che non si arma e non odia, che non distrugge e non urla, che si difende e non aggredisce.

L’Italia democratica, la vera Italia democratica.

L’Italia libera.


E' un Paese reale che non chiede per se, è una coscienza civile che guarda al futuro, che si preoccupa, che ha sentito in questa occasione di partecipare in massa, in tanti, tantissimi. Mai vista Piazza San Giovanni così gremita e... mai vista Piazza San Giovanni ...così gremita e senza le bandiere rosse ....così gremita e senza scene di isterismo...così gremita e senza slogan violenti...così gremita e senza odio

E' bella la nostra bandiera quando sventola fiera, quando nei suoi colori si rispecchiano i valori della nostra identità nazionale, quando dà l'idea della nostra libertà e della fierezza di un popolo laborioso, di un popolo che ha subito di tutto e che subisce ancora, di un popolo che mai si stanca di lottare.

E' bella la nostra bandiera conosciuta nel mondo come simbolo di esaltanti vittorie nell'arte, nella cultura, nella scienza, nello sport.

E' bella la nostra bandiera che esalta le capacità del Paese che ci fa conoscere per inventiva, genialità, bellezza, bontà.

E' bello il nostro tricolore nelle piazze gremite....è bella l'idea di libertà che diffonde.

E’ bella la piazza che si emoziona, la piazza che si carica che si dà coraggio e si muove per fare, per cercare, per diffondere.

Una piazza così, davvero non s’era mai vista.


Vito schepisi

01 dicembre 2006

Mitrokhin: l’Italia ha diritto di sapere



Ho idea che Paolo Guzzanti abbia messo le mani su qualcosa di grosso, forse più grande di lui per essere un giornalista intrepido e spumeggiante e non un sordido mestatore.
Il fuoco di sbarramento della sinistra, dopo l’eliminazione fisica di Alexsandr Litivinenko, è diventato massiccio ed organizzato.
La regia sembra ben preparata.
Politici, giornali e servizi si muovono di concerto per infangare, ridicolizzare e delegittimare.
Il solito gioco della disinformazione in cui il vero diviene falso.
Il falso, invece, ripetuto e congetturato, diviene verità.
Un nettare per le cattive coscienze dei tanti, assetati di odio per una parte politica, che è poi sempre la stessa.
Nessuno si scandalizza del fatto che le telefonate di Guzzanti, Senatore della Repubblica e Presidente delle Commissione Bicamerale Mitrokin, istituita con delibera del Parlamento e con i poteri della magistratura, siano state intercettate.
Fassino si permette, anche, di dire che la democrazia viene stravolta.
Lo stesso Fassino che chiese a Consorte, se, attraverso artifizi finanziari e storie di ambigui scambi, l’ex partito comunista, ora DS, potesse considerarsi padrone di una banca!
Fassino intercettato gridò allo scandalo, ora invece si accomoda sulla strumentalizzazione di telefonate private i cui testi contengono solo colorite descrizioni di uomini e scambi di opinioni e sensazioni senza nessuna fondata “notitia criminis”.
Prodi annuncia querele, si suppone contro Guzzanti.
Questi l’ha chiamato in causa, infatti, per la famosa seduta spiritica, i cui risvolti non si sono ancora mai conosciuti, in cui emerse la pista “Gradoli” ai tempi del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro.
I sospetti è che Prodi sapesse da altri settori ed il tacere sulle fonti ha, di fatto, reso impercorribile il tentativo di salvare la vita al Presidente della Democrazia Cristiana dell'epoca.
Guzzanti ha chiamato in causa Prodi anche per una frase pronunciata dall’ex agente del Kgb, avvelenato a Londra, in cui questi affermava d'aver saputo dal suo ex capo, generale Trofimov, che “Romano Prodi è il nostro uomo”, un uomo cioè vicino ai servizi segreti sovietici.
Perché Prodi non ha querelato prima?
Perchè non l'ha fatto quando Litvinenko era ancora in vita?
Questa notizia era nota da tempo e sembra che ci siano anche le registrazioni.
Il tutto riviene dall’ormai famoso dossier Mitrokhin.
Perché non si dice al popolo italiano quali siano stati i motivi che hanno spinto il governo Prodi dell’epoca a nascondere i nomi dei responsabili di intelligence con il Kgb, servizio segreto sovietico, di cui l’Italia in guerra fredda era in conflitto?
Quali i motivi che consigliarono a D’Alema, subentrato a Prodi alla presidenza del Consiglio, sebbene l’esistenza del dossier fosse diventato di dominio pubblico, grazie alla notizia pubblicata sul Times di Londra nel 1999, a tenere segreti i nomi degli informatori e delle spie italiane pagate da Mosca?
Gli italiani vogliono conoscere i nomi di questi signori e non le chiacchiere di Prodi e dei suoi uomini.
Chi non vuole che gli italiani si indignino per il comportamento dei 261 (politici, giornalisti, uomini influenti) italiani pagati da Mosca?
Altro che Betulla pagato pochi spiccioli dai servizi italiani.
Spioni e traditori del nostro Paese.
Che qualcuno occupi ancora posti di potere?
Vito schepisi