21 luglio 2012
Il Governo in confusione
L’impressione che si ha è che il governo sia in confusione.
Nei giorni scorsi nella compagine governativa è emersa la proposta di sopprimere gli aiuti alle imprese, per destinare quei fondi alla riduzione del cuneo fiscale. La questione è stata accantonata perché il Governo pensa che i tagli debbano, invece, servire per evitare l’aumento dell’IVA.
Gli aiuti di Stato alle imprese, però, sono stati cancellati. Sono fuori dal “Regolamento” europeo e sono sanzionati. Ciò che è ancora consentito è il sostegno alle PMI per gli investimenti in tecnologie e formazione. Pensare agli sgravi fiscali e rinunciare a ricerca, formazione e innovazione non mi sembra una soluzione equilibrata per favorire lo sviluppo.
Ciò non toglie, però, che la pressione fiscale sia insostenibile. Nessun Paese può pensare alla crescita, con un carico fiscale di questo tipo; mentre nessuna attività produttiva può pensare di svilupparsi contando sui consumi delle famiglie gravate da un eccessivo prelievo fiscale.
Eppure la pressione fiscale deve allentarsi.
Eppure il debito pubblico deve essere fermato.
Eppure gli investimenti sono necessari.
Eppure l’occupazione è una spina nel fianco per la pace sociale.
Eppure il divario nord-sud, soprattutto per i servizi, deve essere colmato.
Eppure la crescita è un requisito essenziale per un sistema economico di libero mercato. Sono troppi gli “eppure”, ma anche troppa è la “fantasia” improduttiva del governo, dei partiti e delle parti sociali.
Se un calcolo è sbagliato l’ingegnere non ci mette una pezza per mettere in sicurezza un edificio, perché sa che quel palazzo prima o poi cederà. La “fantasia” in certe cose serve a poco. Ci vuole saggezza, responsabilità e consapevolezza. L’edificio Italia ha moltissimi difetti di costruzione. La riprova ne è che sta cedendo.
E’ strutturato male, ad esempio. Ad iniziare dall’organizzazione complessiva dello Stato. Concepito più per impedire al popolo di contare qualcosa, piuttosto che alla democrazia di prevalere imbrigliandola, per giunta, nella burocrazia ancora più oscurantista e feudale. Quale fantasia allora?
Torniamo a sviluppo-fisco-lavoro. La questione non è soltanto nel reperire risorse per ridurre la pressione fiscale, per altro terapia necessaria, ma anche sollecitare gli investimenti nel “made in Italy”.
Il mercato del lavoro deve essere liberalizzato, garantendo solo regole certe e giustizia, cautelando i lavoratori dagli abusi, non dalle strategie produttive.
La riforma Fornero lascia, invece, le cose come stavano, anzi irrita ancor più chi nelle liberalizzazioni aveva sperato: non in quella delle farmacie e dei tassisti, vero falso problema e fumo negli occhi di stampo bersaniano.
Questo Monti che si “coccola” e scimmiotta Bersani è inguardabile!
Cosa c’entra lui (Monti) con le cooperative ed il loro sistema di sostituirsi alle libere attività produttive e commerciali, scontando misure fiscali agevolate?
Questo Stato, però, così mal strutturato costa tantissimo.
Solo la sanità subisce costi (per corruzione, inefficienze, disorganizzazione e sprechi) pari a 39 miliardi di euro l’anno. Ma quanto ci costa ancora tutto l’apparato burocratico dello Stato? Quanti dirigenti e manager sono messi là solo per meriti “politici” o per fare gli interessi delle lobbies? Quanto ci costa il controllo e l’intercettazione sistematica di milioni di cittadini italiani, e quanto i controlli leciti e illeciti dei servizi? Quanto ci costano le consulenze in Italia? Quanto le società partecipate che nel passato (e nel presente?) hanno creato fondi neri per finanziare e sostenere i “padrini” politici? Quanto le megalomanie, le spese di rappresentanza, gli sprechi e i lussi dei pubblici amministratori e dei manager pubblici? Quanto ci costano le leggi fatte male che creano lunghe disquisizioni legali per la loro interpretazione e tante abilità tecniche per aggirarle?
Mi sarebbe piaciuto per un mese prendere il posto di Enrico Bondi per tagliare (anche le mani e le gambe figurativamente) le carriere di tanti inutili personaggi.
Penso che in Italia sia possibile da subito tagliare spese per 50 miliardi l’anno. Una tale cifra messa integralmente a disposizione per l’abbattimento del cuneo fiscale (ritorno al 20% dell’Iva, riduzione delle aliquote irpef, abolizione dell’IMU sulla prima casa, abbattimenti fiscali - 3 anni - alle nuove imprese, incentivazione a quelle costituite da giovani e da donne) sarebbe capace di far ripartire il sistema produttivo-commerciale dell’Italia. E poi, con calma, senza svendere, dismettere il patrimonio pubblico inutilizzato, per abbattere parte del debito pubblico. Il suo ammontare è, infatti, insostenibile.
Il debito pubblico pari al 120% del PIL è, infatti, come una sindrome da mancanza di difese immunitarie: crea tempeste anche con un leggero soffio di vento.
Vito Schepisi
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