C’è più di qualcosa che non va nell’organizzazione dello Stato.
Ciò che non funziona è certamente la gestione della democrazia.
In uno Stato che apre la sua Carta fondamentale con “L’Italia è una Repubblica democratica …” (“… fondata sul lavoro” è un pleonasmo privo di significato. Vorrei vedere, infatti, una democrazia fondata sull’ozio! Ndr.), dovrebbe essere garantita la certezza dei suoi atti.
La democrazia sicura, visibile e semplicemente fruibile dovrebbe essere la prima delle attenzioni dello Stato, con nessuno spazio per manipolazioni e brogli, con assenza di privilegi e con l’esclusione di interpretazioni e rigidità sospette o interessate. Eppure, per ogni cosa, ci sono carenze.
Le lamentele e le denunce alimentano i dubbi. C’è un contenzioso per tutto. Troppo per non destare inquietudine. Troppi diritti sono ignorati. La Costituzione italiana è sfacciatamente mortificata a iniziare dal suo presupposto iniziale. Prevale la sensazione che l’abuso paghi e che la pratica del malaffare - diffusa nella vita civile, amministrativa e politica - sia persino tollerata.
La democrazia in Italia non funziona a iniziare dai suoi atti più pertinenti: le consultazioni elettorali. Mentre negli altri paesi l’esito è quasi in tempo reale, in Italia si va sempre nel pallone. E le incertezze diventano dubbi e si aprono contenziosi i cui esiti non sempre garantiscono giustizia e certezze. La Giunta per le elezioni della Camera, ad esempio, nel 1995 (elezioni politiche 1994), ha preso atto di errori (4.614 schede arbitrariamente annullate nel collegio di Bitonto in Puglia), proponendo la rettifica. L’Assemblea della Camera, però, ha deliberato a maggioranza di lasciare a casa il candidato “eletto” (Trotti del Msi) e di confermare, invece, il seggio al “non eletto” (Nichi Vendola del Prc). Anche nel 2004 un cavillo giuridico impedì che i ricorsi innescassero la verifica dei voti per la Presidenza della Regione Puglia.
Si parla tanto di legge elettorale, di ‘par condicio’, di trasparenza, di ruolo dell’informazione, di un servizio pubblico che sia pluralista e non lottizzato, di finanziamenti ai fogli di partito che garantirebbero l’articolazione del confronto politico. Tutto però si traduce in uno spreco enorme di parole e di risorse. Non resta niente. Tutto è riversato in una grande macina in cui si triturano il buon senso e la fiducia dei cittadini.
In Italia si fa strada la convinzione che sia proprio la democrazia a far acqua. In questa realtà matura l’antipolitica e la furbizia di personaggi come Di Pietro e Grillo, o come Vendola e le sue “poesie”. Ci sono regole e ordinamenti da cambiare. Il Paese, dopo quasi 65 anni di Repubblica, resta nelle stesse condizioni in cui è nato.
Dall’1 gennaio del 48, da quando è entrata in vigore la Costituzione, in Italia, però, è cambiato tutto il resto. E’ cambiato il sentimento del popolo, sono cambiate le attese della gente, le speranze, le opportunità, le condizioni sociali, persino gli spettri del passato sono svaniti. E’ cambiata la tecnologia. E’ cambiato il quadro di riferimento internazionale ed il sistema monetario. E’ cambiata l’area geopolitica di riferimento, e l’Italia ha anche delegato all’Europa alcune delle sue autonomie. E’ cambiata l’informazione, l’alfabetizzazione, la scolarizzazione, la comunicazione, lo stile di vita, la cultura, le aspirazioni, i gusti e la coscienza nazionale. E’ cambiata la morfologia del territorio. L’idea del multiculturalismo ha modificato usi e costumi e posto questioni nuove. Anche il concetto di famiglia ha ora bisogno di conferme. E’ arrivata l’era del “tempo reale” e siamo ancora con la burocrazia asfissiante.
E’ cambiato tutto e noi siamo ancora con il bicameralismo e con i regolamenti arcaici di Camera e Senato. I governi devono ancora soddisfare i capricci dei piccoli partiti, anziché il mandato del popolo. Ed anche quel ruolo confuso del Capo dello Stato - che da garante del regolare svolgimento della democrazia, si trasforma in manipolatore politico - non trova la sua legittimità costituzionale.
E’ così che si disperdono i valori e l’identità nazionale. Così perde spessore anche il dovere morale della lealtà verso il Paese. Abbiamo visto persino le Istituzioni infangate, fuori dall’Italia, per meschini calcoli politici. Abbiamo visto gli sciacalli portati sugli scudi per calcolo e opportunismo.
Rischiamo così di vedere l’ideologia, il massimalismo e l’ingiuria diventare ancora una volta gli avamposti della violenza e dello sfascismo.
Vito Schepisi
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