28 aprile 2012

Chi pensa d'essere Napoleone. Grillo, invece, un politico



Beppe Grillo, guru della neo deriva qualunquista, in coda al suo recente battibecco con il Capo dello Stato su qualunquismo, antipolitica, partiti e democrazia, ha dichiarato: «I partiti non sono fondamentali c'è democrazia anche senza i partiti».
E' vero che la partitocrazia sia una degenerazione della politica, e che la stessa possa avere effetti devastanti per la democrazia, ma è anche vero - al contrario di quanto sostiene Grillo - che non ci possa essere democrazia vera senza i partiti. 
In un paese plurale e liberale, l'obiettivo più saggio sarebbe quello della semplificazione e della trasparenza della politica. Si vorrebbero chiari, ad esempio, i modelli di sviluppo che si intendano sviluppare. In Italia, purtroppo, la confusione è totale. I partiti si creano sui contrasti e sulle ambizioni personali, e si creano anche sulle opportunità di personaggi dal dubbio spessore morale e dalle scarse capacità intellettive.
Abbiamo esempi eclatanti di incapaci e di opportunisti. Alcuni richiederebbero anche maggiore giustizia, innanzitutto terrena, prima o piuttosto che divina, per la somma della loro stupidità, della loro arroganza e della loro perfidia.
Converrebbe, per ovviare agli effetti perversi della partitocrazia, pensare di porre limiti alla convenienza (economica) nel creare appunto partiti o fazioni, piuttosto che creare un movimento politico per ogni opportunismo personale, o ancora per ogni personalità eclettica e populista, ovvero per ogni demagogo parolaio che calchi la scena in Italia e che intenda approfittare della notorietà acquisita in situazioni e circostanze diverse.
Ma non è vero che i partiti non sono fondamentali: non esiste democrazia senza partiti.
Anche il Movimento 5 Stelle di Grillo, nello stesso momento in cui deposita il suo simbolo elettorale, e quando richiama i suoi sostenitori a presentare le liste nei comuni, nelle province e nelle regioni, come quando intenda farlo per il Parlamento nazionale, si trasforma inevitabilmente in un partito. Ogni movimento politico potrà chiamarsi come si vuole, ma nella sua definizione essenziale si definisce semplicemente “partito”.
E' vero che un partito, per come è generalmente concepito in un contesto istituzionale civile (ma in Italia è così?), dovrebbe avere un progetto politico chiaro ed un programma con una sua finalità definita e compiuta.
E' vero che un movimento politico debba anche indicare una strategia complessiva, e con essa gli strumenti politico-sociali ed economico-finanziari con cui ottenere un ben chiaro e visibile modello di società da attuare.
E' vero, altresì, che tutto questo, con un Grillo che salta da una parte all'altra, senza un’idea complessiva, ma col solo qualunquismo comico di chi la spara più grossa, costruito a tavolino come per uno spettacolo teatrale, dà l'idea di tutto, meno di quella di un partito politico che concorra per la conferma del pluralismo indicato dalla democrazia come base della sua reale applicazione.
Ma se è tutto vero, non è vero che - perché il movimento grillino tutto appare, meno che un movimento che offra un’alternativa politica definita, con qualcosa di più concreto dei richiami all’indignazione o  alle battute sui difetti fisici o caratteriali di uno o dell’altro dei politici - ci  possa essere democrazia senza i partiti.
Non si può mortificare ancor più la voglia di cambiare degli italiani perché un guitto dall’aspetto folle, invece di andare a “La sai l’ultima?”, preferisce calcare le scene del confronto politico. C’è chi si crede Napoleone, chi il giustiziere della notte, Grillo, tra i tanti comici, tra cui anche quelli che inconsapevolmente calcano le scene della politica, è probabile che si senta il comico migliore.
Ma, se è questo il suo sogno, in una gara tra comici, potremmo anche votarlo!
Vito Schepisi

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