Beppe Grillo, guru della neo deriva qualunquista, in coda al suo
recente battibecco con il Capo dello Stato su qualunquismo, antipolitica,
partiti e democrazia, ha dichiarato: «I partiti non sono fondamentali c'è
democrazia anche senza i partiti».
E' vero che la partitocrazia sia una degenerazione della politica, e
che la stessa possa avere effetti devastanti per la democrazia, ma è anche vero
- al contrario di quanto sostiene Grillo - che non ci possa essere democrazia vera
senza i partiti.
In un paese plurale e liberale, l'obiettivo più saggio sarebbe quello
della semplificazione e della trasparenza della politica. Si vorrebbero chiari,
ad esempio, i modelli di sviluppo che si intendano sviluppare. In Italia, purtroppo,
la confusione è totale. I partiti si creano sui contrasti e sulle ambizioni
personali, e si creano anche sulle opportunità di personaggi dal dubbio
spessore morale e dalle scarse capacità intellettive.
Abbiamo esempi eclatanti di incapaci e di opportunisti. Alcuni richiederebbero
anche maggiore giustizia, innanzitutto terrena, prima o piuttosto che divina,
per la somma della loro stupidità, della loro arroganza e della loro perfidia.
Converrebbe, per ovviare agli effetti perversi della partitocrazia, pensare
di porre limiti alla convenienza (economica) nel creare appunto partiti o
fazioni, piuttosto che creare un movimento politico per ogni opportunismo
personale, o ancora per ogni personalità eclettica e populista, ovvero per ogni
demagogo parolaio che calchi la scena in Italia e che intenda approfittare
della notorietà acquisita in situazioni e circostanze diverse.
Ma non è vero che i partiti non sono fondamentali: non esiste
democrazia senza partiti.
Anche il Movimento 5 Stelle di Grillo, nello stesso momento in cui
deposita il suo simbolo elettorale, e quando richiama i suoi sostenitori a
presentare le liste nei comuni, nelle province e nelle regioni, come quando
intenda farlo per il Parlamento nazionale, si trasforma inevitabilmente in un partito.
Ogni movimento politico potrà chiamarsi come si vuole, ma nella sua definizione
essenziale si definisce semplicemente “partito”.
E' vero che un partito, per come è generalmente concepito in un
contesto istituzionale civile (ma in Italia è così?), dovrebbe avere un
progetto politico chiaro ed un programma con una sua finalità definita e compiuta.
E' vero che un movimento politico debba anche indicare una strategia
complessiva, e con essa gli strumenti politico-sociali ed economico-finanziari
con cui ottenere un ben chiaro e visibile modello di società da attuare.
E' vero, altresì, che tutto questo, con un Grillo che salta da una
parte all'altra, senza un’idea complessiva, ma col solo qualunquismo comico di
chi la spara più grossa, costruito a tavolino come per uno spettacolo teatrale,
dà l'idea di tutto, meno di quella di un partito politico che concorra per la
conferma del pluralismo indicato dalla democrazia come base della sua reale
applicazione.
Ma se è tutto vero, non è vero che - perché il movimento grillino
tutto appare, meno che un movimento che offra un’alternativa politica definita,
con qualcosa di più concreto dei richiami all’indignazione o alle battute sui difetti fisici o
caratteriali di uno o dell’altro dei politici - ci possa essere democrazia senza i partiti.
Non si può mortificare ancor più la voglia di cambiare degli italiani perché
un guitto dall’aspetto folle, invece di andare a “La sai l’ultima?”, preferisce
calcare le scene del confronto politico. C’è chi si crede Napoleone, chi il
giustiziere della notte, Grillo, tra i tanti comici, tra cui anche quelli che inconsapevolmente
calcano le scene della politica, è probabile che si senta il comico migliore.
Ma, se è questo il suo sogno, in una gara tra comici, potremmo anche
votarlo!
Vito Schepisi
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