Nel 2010, la sconfitta della sinistra alle elezioni regionali è stata in parte contenuta dalla conferma di Vendola in Puglia. Quella del leader di Sinistra e Libertà è stata una vittoria annunciata, ma, complice una stampa amica, è stata ben giocata. È stato spacciato per trionfo un risultato inferiore alle attese: la sinistra di Vendola ha vinto con il 46% dei voti, contro il 44% del centrodestra.
Tra gli aspiranti governatori, si era candidata, alleata con l’Udc, la signora Adriana Poli Bortone, ex ministro del Governo Berlusconi e bandiera storica della destra nel Salento, che raccoglieva il 10% dei voti, sottratti tutti al centrodestra.
Vendola è così diventato un mito della sinistra italiana. E’ stato preso a simbolo della sinistra vincente, salvatore di quell’area politica che perdeva di botto il Piemonte, il Lazio, La Campania e la Calabria (un quinto degli elettori italiani).
Se la sinistra avesse lasciato sul campo anche la Puglia, sarebbe stata quasi cancellata dal sud. Dal Lazio e l’Abruzzo in giù, fuori dal centrodestra sarebbe rimasta solo la minuscola Lucania, mentre la presenza maggioritaria della sinistra sarebbe stata limitata solo alle regioni ‘rosse’, feudi, da sempre, prima degli ex comunisti ed oggi, con consensi minori, del Partito Democratico.
La “vittoria” in Puglia è servita al poeta di Terlizzi da catapulta per proiettarsi sulla scena politica nazionale. Non c’è stato giornale che non abbia concesso un’intervista, e non c’è stato programma di approfondimento in tv in cui non sia stata registrata una presenza, o telegiornale che non abbia raccolto una dichiarazione dell’uomo con l’orecchino. Non c’è stato episodio nazionale, di natura politica o sociale, in cui non ci sia stata la presenza o non sia stata raccolta una posizione assunta dal Governatore pugliese.
Invece che per le questioni, pur rilevanti della Puglia, Vendola si è interessato ad esprimersi sulla riforma universitaria, per il referendum alla Fiat, nel confronto sul moralismo e per l’individuazione di un candidato a premier per la sinistra.
Repubblica così lo invitava a togliersi l’orecchino e guidare le truppe degli indignati contro Berlusconi, possibilmente da Fini a Di Pietro. Quelli del gruppo di De Benedetti, di fatto vera dirigenza politica della sinistra, nella consapevolezza che le elezioni in Italia si vincono conquistando il centro moderato, e che in quest’area c’è un’idea dei brillantini alle orecchie degli uomini pari a quella di chi porta l’anello al naso, si sono persino preoccupati di consigliare al “poeta” di rifarsi il trucco.
Repubblica è il giornale dei poteri forti e della borghesia radical-chic italiana. E’ il giornale di riferimento di quelli con la “erre” moscia, di quelli … che le barche a vela, di chi presenzia alle sfilate di moda, insomma di quelli che si fanno scherno delle apparenze grossolane e volgari, ma che si ritrovano nel dare importanza più alle apparenze che alla ragione. E per Repubblica l’orecchino per un uomo non è molto fine, e neanche sufficientemente moderato e borghese.
Vendola, però, a quell’orecchino ci tiene. Gli attribuisce un significato profondo, quasi filosofico. Certamente per lui ha un significato rivoluzionario o reazionario, a seconda dei punti di vista. L’astro della sinistra risente, infatti, di un’inossidabile e vecchia contaminazione ideologica. La sua condizione di sudditanza di pensiero, bagaglio di una formazione tutto lotta e partito, resta ben ferma nella sua coscienza di combattente e nella sua perseveranza nel sentirsi un alfiere della rifondazione dell’ideologia comunista, come se lo sgretolarsi del cemento del Muro, nel 1989, non avesse anche sgretolato l’illusione, pur mitizzata, di un Paradiso che era invece un Inferno.
Vendola vive di simboli, di messaggi, di racconti, di episodi di vita, di parole e di fantasie. Vive tra le domande alle quali si risponde da solo. Non ha bisogno di confronto. La dialettica è già in lui. E’ inizio, principio, analisi e sintesi (poca e scadente) di tutto. E’ un retorico per natura. In lui si formano messe di parole che maneggia con maniacale animosità. Pervaso, esterna una struggente passione, come quei predicatori un po’ folli che parlano di fine del mondo e simili.
Dal suo pensiero escono idee tutte convergenti a riflettere i suoi imperativi categorici. Un piccolo dittatore, scadente, inutile, a volte ridicolo, sicuramente stucchevole. Scatena la sua fantasia che trasforma subito in sogno, come l “I have a dream”, di Martin Luther King, e poi da sogno l’idea si trasforma in obiettivo, ed il nostro incomincia a crederci. E da quel momento nessuno lo ferma più: si scatena e attacca chiunque gli si pari dinanzi, come se tutto ciò che non ricalchi il suo pensiero abbia parvenza di mostro. Un Don Chisciotte contro i mulini a vento. Così sta distruggendo la Puglia!
Non c’è direttiva europea, non ci sono patti di stabilità, non c’è principio costituzionale, non ci sono normative e leggi dello Stato che Vendola non abbia provato a forzare. Parte ora al grido dell’acqua bene di tutti, ora dalle energie che vengono dal sole e dal vento, ora per il lavoro, ora per l’immigrazione, ora ancora per le unioni di fatto in un crescendo di arroganti provocazioni che finiscono col mortificare il senso stesso della legalità. Persino, e di recente, mentre cresceva la diffidenza dei cittadini per la politica e i suoi consessi pletorici, la pretesa di allargare la maggioranza attraverso la “cooptazione” di 7 consiglieri trombati, e nonostante abbia fruito di 14 consiglieri in più ottenuti con il premio di maggioranza.
La sua Puglia diversa, e a suo avviso migliore, non è altro che la visione che ha di un Paese senza confini in cui ciascuno venga spogliato delle sue tradizioni e delle sue origini: spogliato del genere, delle abitudini, della cultura di riferimento ed anche della propria natura. Un mondo di diversi e di uguali nello stesso tempo. Un mondo confuso dove vorrebbe riposizionare la sua sinistra diversa.
Pensa per l’Italia a un governo “poetico” che dia sostanza alle sensazioni, come se fosse più importante sentire che essere. Come se fosse più importante immaginare che avere. La sua è una “narrazione” che si mostra profondamente diversa da un modello di società competitiva, e soprattutto poco incline alle chiacchiere, com’è oggi il mercato globale.
Dai discorsi di Vendola non si capisce mai molto: é tortuoso e barocco. Si comprende però che respinge ogni cultura di riferimento e si mostra infastidito da chi accenna al senso di appartenenza, come, ad esempio, alla civiltà occidentale, alla cultura europea, alle origini cristiane, alle tradizioni italiane, e se fossimo europei, africani o asiatici non farebbe alcuna differenza, neanche in termini di radici e di tradizioni.
Per Vendola si nasce tutti uguali, ma se questo è vero, in termini di diritti e di umanità, è altrettanto vero che sin dalla nascita si trasmettono messaggi spontanei di scelte di vita, di tradizioni, di abitudini e di sentimenti. Questa da sempre è la cultura dei popoli. La civiltà non è, infatti, che una conquista continua la cui eredità si tramanda di padre in figlio. Non è un mondo di uguali, il nostro, ma è invece un mondo d’individui, e perciò di diversi, e questa è una ricchezza, non una colpa.
Vendola alla pari dell’agente 007, James Bond, che lottava contro paranoici nemici che volevano distruggere il mondo, lotta contro 2010 anni di storia dopo la nascita di Cristo. Vorrebbe fermare il mondo perché il futuro è il suo nemico, senza accorgersi che i nemici della civiltà sono da ricercare tra chi vorrebbe trasformare il paese in una gabbia ideologica.
Vito Schepisi
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