02 ottobre 2010

La violenza ha sempre i suoi mandanti


Dagli episodi di violenza e da tutte le manifestazioni di inciviltà c’è sempre da trarre una morale. Sappiamo che la storia si ripete. Il motivo è molto semplice. La storia siamo noi con le nostre debolezze, il nostro umore, il nostro carattere, i nostri pregi, i nostri difetti: la storia siamo noi soprattutto con le nostre idee.
C’è un filo conduttore che lega parole ed azioni, e quando le parole passano quel limite immaginario del normale confronto tra idee e pensieri diversi, si trasformano in pietre. Ed arriva il pericolo. Quando le parole scaldano gli animi, quando si manifestano le prime azioni di intolleranza, come, ad esempio, è accaduto di recente alla festa del PD, e se ai primi sintomi di violenza c’è chi minimizza, se non addirittura giustifica, è facile che si scateni la fantasia esasperata di una manovalanza politica che è pronta a percepire l’avversario non più come chi ha idee diverse, ma come un nemico da abbattere. E’ facile, così, che dalla barbarie verbale si passi a quella della reazione violenta. Accade sempre così, ma non se ne vuole mai prendere atto.
Nella sinistra italiana non s’è compiuta ancora l’opera di democratizzazione della base. I vertici hanno somatizzato il pluralismo e la democrazia liberale come una necessità per non esser tagliati fuori dalla storia, ma nella base c’è ancora tutta l’intolleranza di una cultura che non ammette fallimenti, che non ammette alternative, che non ammette neanche la possibilità che un’idea diversa sia espressa, e figuriamoci l’ammissione che possa essere migliore della propria. C’è chi ha un’idea “messianica” e giustizialista della politica, e quasi sempre motivata da pregiudizi manichei.
In Italia si respira una cattiva aria di intolleranza. Il pregiudizio è ritornato con più vigore a prendere il posto della ragione. Le parole superano il confine tra un acceso confronto politico e l’insinuazione. L’ingiuria prende il posto della critica e del dissenso ragionato. Alcune questioni si prendono troppo sul serio, molto più della consistenza effettiva dei contenuti in discussione. L’intolleranza emerge quando non ci sono idee proprie e, ingigantendo le criticità, si vuole solo demolire quelle del proprio avversario.
Produrre azioni di governo, anche sbagliando, è sempre meglio, però, che mantenere in piedi ciò che non funziona. Il riformismo è l’unico metodo democratico per adeguare ai tempi che mutano ed ai nuovi bisogni l’assetto sociale e strutturale del Paese, ma è un concetto che non abbiamo mai sentito affermare da Bersani o dalla Bindi, tanto meno da Di Pietro, per quanto possa contare una sua opinione.
Le trasmissioni di approfondimento politico in tv sembrano dei ring. Verrebbe persino da sospettare che ci sia un gioco delle parti, per fare “audience”, ben sapendo che le risse in tv finiscono per avere notevoli picchi di ascolti. Ognuno ci mette qualcosa di suo e si perde di vista, invece, il motivo della contesa politica e si oscura la ragione stessa dell’informazione. Ma è questa la vera censura a danno dei cittadini, perché si perdono di vista le motivazioni del confronto tra soluzioni diverse.
Sui modi diversi di pensare alla sicurezza, alla giustizia, all’economia, all’immigrazione, ai confronti tra e nei partiti, non ci sono solo motivi di sopraffazione o di vendetta, ma anche comprensibili motivi di percezioni diverse. Ciò che è sbagliato è il voler riempire di fondamentali visioni ideologiche queste diverse percezioni. Questo metodo, come abbiamo visto in passato, e come rischiamo di vedere in futuro, può portare solo a niente di buono.
L’esasperazione dei toni è ritornata con maggiore virulenza da quando il centrodestra ha vinto, anche largamente, le elezioni politiche del 2008. Da quel momento sono subito venute meno le parole di Veltroni - fatto fuori ben presto - sulla reciproca legittimazione delle scelte democratiche degli elettori. Alla vigilia delle elezioni del 2008, l’unica voce in contrasto alla legittimazione era stata quella di Di Pietro.
Tralasciando le opinioni sulla sincerità delle parole di Veltroni, e pensando che sia solo frutto della forza onnicomprensiva del suo “maanchismo”, si è fatto strada più di un sospetto che Di Pietro sia stato usato dal PD, ma anche che il molisano non si sia limitato a farsi usare, ma ad abusare a sua volta.
Di certo viene usato in alcune trasmissioni televisive per accendere le micce della deflagrazione verbale. Chi lo utilizza, come ospite quasi fisso, non lo fa per offrire contributi di approfondimento di uno studioso dei fenomeni politici o per avvalersi di competenza giuridica e di pacato raziocinio per affrontare questioni di etica politica e di attualità giudiziaria, ma lo fa per usarlo come una clava contro chi nutre idee diverse da una “verità” politica che invece si vorrebbe far emergere. Tutto sommato, ad esempio, Santoro è anche così onesto da affermare senza nascondersi d’essere un fazioso. Un vero istrione!
Se traessimo una morale da alcune trasmissioni televisive, potremmo dire che per far del male a qualcuno non sia necessario bastonarlo con una mazza, lo si può fare in tante altre diverse maniere. Si può far del male ad un uomo scatenandogli contro un animale feroce, assoldando un sicario o, in modo più sottile, usando un forsennato ignorante che sgrammaticato lo insulti e lo diffami in tv indicandolo come il male assoluto o come il nemico politico da rimuovere. Si può fare (il male) anche contro tutti i suoi sostenitori e maggiormente contro chi, direttamente o indirettamente, in tv si contrappone ai metodi della sopraffazione.
Se poi, infatti, tra i telespettatori, c’è chi ritiene che sia necessario fare anche di più, accade che alcuni giornalisti ed alcuni politici abbiano bisogno della scorta, e che qualche volta si rischia che ci scappi il morto.
Vito Schepisi

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