05 novembre 2009

Nel PD tutto cambia, perchè nulla cambi



Tutto si va a chiudere com’era previsto. Dopo le primarie nel PD, i capogruppo alla Camera ed al Senato hanno rassegnato le dimissioni per consentire al nuovo segretario di organizzare la sua squadra politica. E’ giusto che sia così: è il segretario che deve proporre ai gruppi le ipotesi di cambiamento. Meno giusto ci sembra che alla Presidenza del gruppo parlamentare alla Camera sia chiamato il suo più agguerrito concorrente alla segreteria del partito. Non so se sia mai accaduto nella storia politica italiana che il leader della mozione opposta assuma la direzione del gruppo parlamentare. Il sospetto di una nuova finzione, o di una mera lotta di potere con un accordo di spartizione, induce a chiedere se ci siano state reali diversità nelle proposte politiche dei concorrenti alla segreteria PD, o se sia stata la solita commedia a cui questo partito, per quanto nuovo, ripetutamente ricorre. Fingere anziché fungere.
A parte il programma del chirurgo Ignazio Marino, che più che un articolato percorso di attività e scelte programmatiche del complesso partito che ha ereditato esperienze politiche e civili molto diverse, è stato generalmente percepito come una volontà monotematica di trasformare il PD in un movimento di lotta su ben precise scelte etiche, a parte Marino, quindi, non c’è stata una diversità che sia stata percepita netta tra i due principali concorrenti.
Marino è stato anche l’unico che ha saputo accendere i riflettori dell’attenzione su di un’area esterna al PD, allargando la base di un consenso che, più che per uno schieramento politico, è apparso di precise finalità laiche. Il medico, infatti, ha saputo coinvolgere anche porzioni di area radical-liberale nei suoi richiami alle scelte di vita e soprattutto nel suo approccio filosofico al voler dare una ragione (di vita) alla morte.
Tra Bersani e Franceschini cosa c’era invece di così radicalmente diverso? E’ arcinoto che il primo proviene dalle fila dell’ortodossia comunista, in cui prevaleva la ragione di partito sull’intelligenza e sull’originalità del pensiero, e che il secondo proviene invece dalle sacrestie democristiane - che tanto hanno influenzato anche Veltroni - cultrici del principio che tutto si possa fare: anche mettere sulla tavola del diavolo un boccale di acquasanta, perché lo beva assieme al sangue dei suoi oppressi.
Dopo un Congresso, di regola, chi prevale imposta la sua squadra e lo fa sui suoi progetti. E cosa c’è di programmaticamente più pregnante e simbolicamente più squisitamente politico che l’attività parlamentare? Come farebbe un oppositore, teoricamente portatore di una diversa idea di gestione e di contenuti, a poter così fungere da capogruppo parlamentare? Le strategie operative di un partito si concretizzano proprio in Parlamento che è il luogo in cui si formano le leggi e da cui si anima la discussione sulle iniziative politiche per il governo del Paese. Franceschini, se diverrà capogruppo del PD alla Camera, che farà? Interpreterà Bersani? O sarà quest’ultimo che andrà in coda alle scelte ed alle iniziative di Franceschini?
Se tutto questo può apparire di poca importanza in realtà non lo è. Il PD in due anni ha già cambiato tre segretari. I precedenti sono partiti con diversi e virtuosi propositi ma sia l’uno che l’altro hanno finito per fare le sole cose che gli sono state consentite: esasperare i rapporti con la maggioranza; esaltare l’informazione faziosa; assecondare l’invadenza della magistratura.
L’unica apparente diversità è stata invece solo una finzione. Veltroni voleva attestare il PD in un’area di sinistra moderata autosufficiente, svincolata dai piccoli partiti della sinistra alternativa. Subito, però, si è smentito da solo ed ha imbarcato Di Pietro. E la sua è apparsa più un’operazione di cannibalismo parlamentare, verso i piccoli gruppi neo comunisti, che una vera scelta bipolare. Franceschini da segretario si era attestato sulla linea di Veltroni e blandiva e condannava l’alleato Di Pietro a giorni alterni. Diversa sembra ora la posizione di Bersani. Il neo segretario vuole aprire alle alleanze e lo fa richiamando il principio del centralismo democratico, arcinoto ai suoi possibili futuri alleati, tutti di estrazione comunista, per informarli di volerne adottare lo spirito, per evitare la confusione di voci mostrata ai tempi di Prodi.
Ma alleanze per cosa? Il problema è tutto lì. Con il gossip, con la giustizia, con gli insulti, con le delegittimazioni, con la disinformazione, con le minacce ed anche con l’omicidio, se fosse possibile, tutto a sinistra è indirizzato solo a spodestare Berlusconi, anche contro la volontà popolare.
La questione in sostanza resta sempre negli stessi termini, come descritto da Tommasi di Lampedusa nel Gattopardo, solo un grande cambiamento che permetta di lasciare tutto come prima, perché nulla cambi.

Vito Schepisi

3 commenti:

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