24 settembre 2009

Manovra leggera e Scudo Fiscale

La manovra leggera del Governo anche quest’anno risparmia agli italiani la confusione e lo spettacolo indecoroso della consueta manovra di bilancio di fine anno. Il merito è della Legge Finanziaria triennale dell’estate del 2008, valida sino al 2012. Un modo che si mostra efficace per essere riuscito a stoppare l’assalto delle lobbies ed a frenare gli interessi particolari di quei politici abituati ad adottare sistemi di consenso locale, legati a clientele e gruppi di potere economico.
Non meraviglia, pertanto, constatare che resta costante il consenso al Governo. L’esecutivo punta tutto sul metodo della concretezza e sul rispetto degli impegni presi con gli elettori. La fiducia sta dunque nella verifica della coerenza e del lavoro percepiti anche attraverso la chiarezza del nuovo metodo adottato per la legge di bilancio. Non più il dissennato ricorso alla spesa e migliaia di emendamenti a favore di un privilegio o di un altro. Non più sotterfugi che emergono nelle pieghe degli articolati di legge. Solo indirizzi chiari e responsabilità. Tremonti sta introducendo trasparenza nel settore dei conti dello Stato.
Le piccole rivoluzioni di metodo che abbattono le cattive abitudini avvicinano il Paese legale a quello reale. Un’esposizione chiara del fabbisogno finanziario riduce il potere dei gruppi di pressione e tranquillizza quei contribuenti che, lungi dall’essere felici di pagare le tasse, come fantasiosamente sosteneva Padoa Schioppa, ne comprendono l’esigenza per la collettività. L’insieme delle tante piccole spese aggiuntive, per lo più clientelari, finivano infatti con assorbire risorse a danno dell’efficienza complessiva della manovra finanziaria. I costi economici dei privilegi sono pagati con i soldi dei contribuenti e chi paga, sapendo dei privilegi di altri, non sempre comprende la funzione sociale della propria imposizione fiscale.
Una manovra leggera che non sposta sul fisco la ricerca di nuove risorse e che deve fare i conti con il debito pubblico e le indifferibili esigenze del suo contenimento. La questione è sempre nei soliti termini. Le richieste sono tante: rinnovi contrattuali, investimenti per servizi, infrastrutture, innovazione, incentivi, interventi di sostegno, spesa corrente, finanziamento delle missioni militari, impegni internazionali, interessi sul debito, spese di ricostruzione di aree coinvolte in disastri, fabbisogno degli Enti locali.
Un insieme che è difficile poter finanziare quando si è in crisi. La contrazione del gettito fiscale per il minor fatturato e per la minor base imponibile riduce infatti le risorse, mentre sarebbero necessarie maggiori disponibilità per fronteggiare la crisi e la più larga spesa sociale. Risorse che non è facile reperire senza ricorrere massicciamente a nuovo debito pubblico.
Le strade alternative al debito sono due, e solo due: ricorrere ai tagli della spesa o aumentare le entrate.
La seconda scelta sarebbe quella più facile, anche se la più controproducente. Sarebbe quella che viene adottata per cultura da un governo di sinistra. Di certo sarebbe la strada più miope e tendenzialmente la più involutiva. Ma dopo aver criticato il precedente governo di Prodi, per l’aumento della pressione fiscale, non sarebbe affatto intelligente rifare gli stessi errori, con il rischio di frenare ancora una volta il rilancio. La recessione, infatti, richiede coraggio imprenditoriale e spinte agli investimenti. L’aumento della pressione fiscale finirebbe per scoraggiare gli investimenti, rendendo poco appetibile il ricorso al rischio di impresa.
Niente tasse allora! L’alternativa sarebbero i tagli, ma la nota dolente è tutta qui. Nel Paese c’è una resistenza incredibile sostenuta dai media e dai beneficiari della fiera dell’effimero e del privilegio. Manca poco che Brunetta possa essere impiccato nella pubblica piazza, se parla degli sprechi nella pubblica amministrazione. Anche gli uomini di spettacolo, poverini, ce l’hanno con lui: senza finanziamenti corrono il rischio di dover lavorare o d’essere veramente bravi. La Gelmini è rappresentata come il Ministro che vuole i nostri figli ignoranti, quella che vuole tagliare la ricerca, che vuole ridurre il tempo pieno, che ha creato il disagio dei precari e far cassa sulla scuola. Abbiamo visto però che è l’esatto contrario. Le regioni reclamano tutti più soldi. La spesa sanitaria scoppia al sud. Tutti reclamano fondi per lo sviluppo.
Ma l'Italia ha invece bisogno di soldi per mantenere i suoi impegni, per far fronte alla spesa pubblica (800 miliardi di euro l’anno), per rilanciare gli investimenti e quindi far crescere il Pil e riassorbire il calo dell’occupazione. Servono risorse per uscire definitivamente dalla crisi.Servono risorse utili per uscire definitivamente dalla crisi.
Cosa si fa? La lotta all’evasione viene condotta con determinazione e con discreti successi, ma non basta!
Si calcola però che circa 60 o 70 miliardi di euro di soldi portati fuori dall’Italia possano rientrare nel Paese attraverso la persuasione collegata al cosiddetto “Scudo Fiscale”. E’ una misura adottata anche da altri paesi europei. La norma consentirebbe ai cittadini italiani che hanno costituito capitali all’estero di farli rientrare in Italia pagando un’imposta fissa del 5% sull’importo dei capitali rientrati. Ma si pensa che la facoltà non sarebbe utilizzata, perché il danaro esportato è generalmente frutto di margini di utili non dichiarati dalle imprese. Il titolare/amministratore dell’impresa che ha costituito i capitali, autodenunciandosi, sa bene che potrebbe essere accusato di falso in bilancio. La cosa per poter funzionare deve poter garantire il rientro senza conseguenze. Ed è a questo punto che si è riaperta la solita bagarre con l’opposizione che si rifà questa volta al “cartello di Medellin” (responsabili dei traffici di droga in Colombia) per denigrare il governo.
Questo moralismo, pur giusto eticamente, è sufficiente a farci rinunciare alle opportunità di ripresa? E’ sufficiente per costringere il ministro dell’economia a far ricorso alla crescita del debito pubblico?
Premesso che lo Scudo non è applicabile ai casi di accertamento già in corso, quanti evasori che hanno costituito capitali all’estero il fisco riuscirà a scovare? E quanti anni e spese serviranno per recuperare le somme evase? L’esperienza dimostra che sono molto pochi gli evasori scovati e che nel contenzioso fiscale che s’apre le spese sono superiore ai recuperi. In definitiva rinunciare sarebbe un ulteriore regalo agli evasori. La scelta razionale è quindi pensare al bene del Paese. Certi moralisti pensassero ai “farabutti” che hanno a casa loro.
Vito Schepisi su L'Occidentale

4 commenti:

dario ha detto...

Caro vito,
è accaduta una cosa politicamente grave, sempre che il mio ragionamento sia giusto.
Il giudice che sta processando dell'utri è stato nominato (non so cosa di preciso) alla COmmissione antimafia, dal pdl.
Il fatto è che questo giudice è lo stesso che ha condannato andreotti. Finalmente un benedetto nome! Finalmente è possibile giudicare un fatto vero e non un teorema! Finalmente, appena venuto fuori un nome, si svela il marciume che c'è nel pdl!
Ecco il ragionamento:
se il giudice è lo stesso che ha condannato andreotti e bruno contrada, allora è un giudice, secondo i giudizi che il pdl ha espresso su quei casi giudiziari,pessimo, un giudice delinquente, uno di quelli che fanno lotta politica! E allora, mi chiedo, come mai il pdl ha scelto proprio lui per andare alla COmmissione antimafia?
La risposta potrebbe essere questa:
di solito, quando si viene scelti per l'antimafia si lasciano i processi che si stanno svolgendo e quindi...sarebbe dovuto accadare lo stesso col processo dell'utri e farlo iniziare da capo! Fortunatamente, poi, la Cassazione ha stabilito che il giudice in esame dovesse prima terminare i suoi processi, una vera mazzata per dell'utri!
Ora tu mi dirai, "no non è vero, il pdl non voleva salvare la pelle a dell'utri". Ma il punto è proprio questo, ma allora perché il pdl l'ha scelto all'antimafia se è uno di quelli che fanno lotta politica?
Quale che sia la soluzione il pdl ne esce malissimo.
1-ha sfruttato l'antimafia per l'interesse di una sola persona, anziché del paese.
2- ha scelto un giudice che fa lotta politica (indipendentemente da dell'utri).
3-il giudice in esame è un ottimo giudice e non era vero che il processo andreotti era stato un processo politico e quindi su quella storia il pdl ha mentito.
Come vedi le chiavi di lettura sono tre, e tutte "condannano" il pdl.
Tu, cosa ne pensi? Hai una quarta chiave di lettura? Sono tutto orecchi!

dario ha detto...

che ne pensi allora?

Anonimo ha detto...

Perche non:)

Anonimo ha detto...

imparato molto