Signor Presidente Berlusconi, innanzitutto vorrei complimentarmi con Lei per il successo elettorale che ha premiato il suo progetto politico. Vincere in una tornata elettorale non è mai solo il fruttuoso raccolto di una buona campagna elettorale o ancora l’adesione dei cittadini elettori ad una squadra credibile, ma è spesso l’insieme di una proposta complessiva che include motivazioni e speranze. Ciò che per gli uomini liberi e pragmatici, abituati a cogliere farina dal grano, può sembrare un’ovvietà, per tanti sembra sia invece difficile da comprendere. Non ha vinto la destra nostalgica e neanche l’Italia incolta e stupida, contro una sinistra senza identità: ha vinto la speranza di cambiare il Paese.
La sinistra che ha perso non ha saputo offrire motivazioni e speranze. Ha perso perché è apparsa poco credibile la sua idea di trasformare in senso moderno, giusto ed efficiente il Paese. Ha perso per aver mostrato ancora una volta il risvolto ideologico della sua strategia politica e con esso calpestato il rispetto del cittadino, sacrificato nella frenesia dell’odio e della vendetta politica. La sinistra ha perso perché, quando ha potuto, non ha saputo e voluto comprendere il popolo e si è schierata in modo arrogante ed indisponente contro la metà, almeno, degli elettori italiani.
Signor Presidente si ricordi, però, che più che Berlusconi ha vinto l’Italia che è stanca e che spera. In questa tornata elettorale, infatti, per la sinistra non è stato più sufficiente il collante dell’antiberlusconismo lasciando come speranza solo quella di un’improvvisata conversione verso il freno alla pressione fiscale, o verso la sicurezza nelle città, ovvero una maggiore attenzione verso il mondo del lavoro. L’Italia si è rivolta invece verso di lei per la speranza del cambiamento: l’ultima spiaggia prima di precipitare nel vuoto dell’antipolitica.
Sono emerse dalle urne le opzioni degli italiani verso soluzioni definitive per l’ammodernamento e la trasformazione di un sistema e di un metodo di governo. Il voto è stato una petizione popolare per chiedere dignità e doveroso rispetto verso i cittadini che, pur contribuendo per la diffusione dei servizi di pubblica utilità, con una pressione fiscale oltre il limite del sopportabile, hanno ottenuto in cambio insicurezza, inefficienza, arroganza, disservizio, e fondati motivi di allarme e preoccupazione. Si pensi tra l’altro ai ritardi per la raccolta differenziata dei rifiuti e per la realizzazione dei termovalorizzatori, ai pericoli sanitari per la spazzatura, alla carenza delle fonti di energia, all’immigrazione clandestina, al fermo delle grandi opere per la viabilità che rischiano di emarginare il paese o parti del Paese dall’Europa e dagli scambi commerciali frenandone così lo sviluppo.
I cittadini adesso chiedono, metaforicamente, le teste che rotolano. Non si può tollerare che continuino a far danni coloro che hanno sviluppato potere e carriere sul controllo e la capziosa gestione del territorio. Gli italiani si attendono l’abbattimento radicale di quella casta che si annida tra politica e parti sociali, tra istituzioni e servizi dello Stato, tra informazione e potere economico-finanziario, tra impresa e burocrazia. Gli intoccabili, gli impuniti, coloro che sono abituati a guardare con cinismo al declino del Paese per trarne vantaggio politico, economico, di potere cedano finalmente il passo all’Italia che lotta e che si impegna.
La sinistra che ha perso non ha saputo offrire motivazioni e speranze. Ha perso perché è apparsa poco credibile la sua idea di trasformare in senso moderno, giusto ed efficiente il Paese. Ha perso per aver mostrato ancora una volta il risvolto ideologico della sua strategia politica e con esso calpestato il rispetto del cittadino, sacrificato nella frenesia dell’odio e della vendetta politica. La sinistra ha perso perché, quando ha potuto, non ha saputo e voluto comprendere il popolo e si è schierata in modo arrogante ed indisponente contro la metà, almeno, degli elettori italiani.
Signor Presidente si ricordi, però, che più che Berlusconi ha vinto l’Italia che è stanca e che spera. In questa tornata elettorale, infatti, per la sinistra non è stato più sufficiente il collante dell’antiberlusconismo lasciando come speranza solo quella di un’improvvisata conversione verso il freno alla pressione fiscale, o verso la sicurezza nelle città, ovvero una maggiore attenzione verso il mondo del lavoro. L’Italia si è rivolta invece verso di lei per la speranza del cambiamento: l’ultima spiaggia prima di precipitare nel vuoto dell’antipolitica.
Sono emerse dalle urne le opzioni degli italiani verso soluzioni definitive per l’ammodernamento e la trasformazione di un sistema e di un metodo di governo. Il voto è stato una petizione popolare per chiedere dignità e doveroso rispetto verso i cittadini che, pur contribuendo per la diffusione dei servizi di pubblica utilità, con una pressione fiscale oltre il limite del sopportabile, hanno ottenuto in cambio insicurezza, inefficienza, arroganza, disservizio, e fondati motivi di allarme e preoccupazione. Si pensi tra l’altro ai ritardi per la raccolta differenziata dei rifiuti e per la realizzazione dei termovalorizzatori, ai pericoli sanitari per la spazzatura, alla carenza delle fonti di energia, all’immigrazione clandestina, al fermo delle grandi opere per la viabilità che rischiano di emarginare il paese o parti del Paese dall’Europa e dagli scambi commerciali frenandone così lo sviluppo.
I cittadini adesso chiedono, metaforicamente, le teste che rotolano. Non si può tollerare che continuino a far danni coloro che hanno sviluppato potere e carriere sul controllo e la capziosa gestione del territorio. Gli italiani si attendono l’abbattimento radicale di quella casta che si annida tra politica e parti sociali, tra istituzioni e servizi dello Stato, tra informazione e potere economico-finanziario, tra impresa e burocrazia. Gli intoccabili, gli impuniti, coloro che sono abituati a guardare con cinismo al declino del Paese per trarne vantaggio politico, economico, di potere cedano finalmente il passo all’Italia che lotta e che si impegna.
I modelli di società non si improvvisano per l’occasione. Esistono nelle intuizioni della parte democratica e pluralista del Paese, anche di coloro orientati a scelte mediate e più complesse. Si fronteggiano in una efficace scelta tra ispirazioni di prevalenza sociale ovvero di prevalenza individuale. Si nutrono del confronto ineluttabile tra ricette di maggiori contenuti di solidarietà ovvero di libertà dei cittadini.
Il modello indicato dagli lettori è dunque quello orientato all’incentivazione della crescita produttiva, secondo le regole del mercato, sensibile ai bisogni, in un ambito di attenzione verso i valori della famiglia e delle tradizioni, in un contesto di libertà e di sicurezza. È il modello che pone l’uomo, consapevole delle sue responsabilità, al centro del suo futuro benessere.
Il modello di società che gli italiani invocano è quindi quello di un Paese giusto ed efficiente, ma anche capace di far ammenda degli errori passati e di sapersi liberare dai lacci di meccanismi funzionali inefficaci e spreconi e soprattutto auto referenti e privi della condivisione popolare.
Tutto questo non è una nuova cultura della classe politica nei rapporti con i cittadini ma è l’insieme di quelle regole e di quel soffio di libertà che prende il nome di democrazia liberale.
In questa dimensione culturale non è consentito prendere a prestito, alternativamente a seconda delle opportunità, ora l’una o l’altra dimensione della società degli uomini. Non esiste libertà dove si pensi solo al benessere personale o laddove si pretenda solo responsabilità dell’individuo, senza che gli siano concesse le opportunità della crescita. Ciò che la politica ha il dovere di registrare, e di far propria, è la spinta naturale delle cose e la sua attitudine ad intervenire per il rispetto delle regole e per liberare i meno fortunati dal bisogno. E’ la politica che ha il compito di interpretare la società e di individuare, attraverso la rappresentanza del popolo, stabilita dalla Costituzione, l’insieme delle sue regole condivise, e non il contrario, come vorrebbero rumorose e contraddittorie minoranze di orientamento prevalentemente assembleare.
Il voto dei cittadini ora è già stato espresso. Chi ha voluto scegliere ha esercitato il suo diritto ed i risultati inappellabili sono sotto gli occhi di tutti. Sembrerebbe finita qui ma siamo in Italia dove da sempre chi ha perso dice invece d’aver vinto, Di Pietro ad esempio più degli altri, e chi ha vinto viene persino invitato a vergognarsi d’averlo fatto. Tutto, purtroppo, continua a proseguire secondo lo stereotipo usuale. Sembra un rito demenziale delle democrazie incompiute. E’ un’abitudine che andrebbe smentita da una stagione di governo e di riforme continua ed efficace.
E’ stato anche già detto, com’era prevedibile per la solita rancorosa abitudine di coloro che vantano, a sproposito e senza legittima ragione, una supremazia culturale, che ha prevalso il Paese ignorante e che l’elettore di centrodestra sia pressappoco un cretino. L’ignoranza più grande, però, sembra sia più quella di non saper comprendere le ragione del popolo, anziché quella di non saper apprezzare un film di Moretti o il cinefilo di Veltroni. Soprattutto se i risultati sono quelli che sono.
Siano però ora chiuse le polemiche e le recriminazioni. Giunga finalmente il momento in cui tanti siano capaci di imparare che l’intelligenza è diversa dalla quantità di “orientamento” acquisito e che le citazioni classiche non reggono al confronto della consapevolezza di offrire soluzioni di governo percorribili ed efficaci. Serva, soprattutto, di lezione per tutti la consapevolezza che c’è un limite alla tolleranza dell’elettore ingannato.
Anche la polemica sul risanamento economico di Prodi resta un’oziosa barzelletta che fa solo sorridere ed a cui non vale più la pena replicare. Mai infatti l’Italia si è trovata in un così devastante “empasse” economico dove l’insostenibile pressione fiscale finanzia i costi dell’enorme spesa corrente, mortificando famiglie, politiche sociali e sviluppo.
Non è più il tempo ed il caso di lasciarsi trascinare in inconcludenti distinguo e, soprattutto, non è più tempo di farsi frenare dai mille lacci di un Paese sostanzialmente corporativo. E’ opportuno quindi focalizzare l’attenzione sulla struttura anacronistica di quella miriade di piccoli e grandi privilegi divenuti nel tempo insopprimibili e protetti grazie ai veti delle istituzioni, della politica e delle organizzazioni sociali.
Non servono, ad esempio, 10 dirigenti in un ufficio che funzionerebbe meglio con uno solo effettivamente responsabile. Si abolisca il principio paralizzante del diritto acquisito. Ogni funzione sia messa in discussione sulla base della necessità e dell’efficienza. Se ci sono contratti sindacali che proteggono sprechi ed abusi siano denunciati e soppressi. Tutto alla luce del sole senza eccezioni o particolarità e, se necessario, in piena conoscenza e consapevolezza. Il popolo deve esser messo in grado di valutare ed apprezzare le ragioni del taglio delle spese improduttive e dei privilegi carpiti, ovvero del ripristino della necessaria efficienza e del senso di responsabilità. Si parlerà di autoritarismo e di negazione dei diritti ma se tutto si farà col consenso del popolo, stanco di tanti privilegi concessi, sarà piuttosto autorevolezza e senso di giustizia.
Anche i soggetti economici che di fatto esercitano attività produttive, commerciali o di servizi in concorrenza con le tipiche imprese private è tempo che siano regolati, ai fini degli oneri e del fisco, senza alcun privilegio, onde evitare la creazione di concorrenza sleale, e soprattutto per recuperare quel maggior gettito fiscale da sostituire a quello prelevato in modo esorbitante dalle famiglie e dal lavoro. Non hanno, infatti, funzione sociale le cooperative che accumulano fondi per le scalate alle banche! L’impresa, ancora, con le sue regole, i suoi diritti ed i suoi doveri, è bene che sia sotto la partecipazione ed il controllo dei privati cittadini e non invece, attraverso reti di funzioni sussidiarie, sotto controllo della politica.
E’ questo, nei fatti concreti, da sempre, il reale e stridente conflitto di interessi del Paese!
La giustizia è poi l’asse centrale della credibilità democratica di una nazione, ed è noto che in Italia la “Giustizia” sia del tutto carente. E’ tempo che si passi finalmente dalla cultura della distinzione che emerge tra magistrati buoni e cattivi, o quelli visibili od invisibili, a quella della disamina tra un ordinamento capace di produrre giustizia ed un altro ordinamento, invece, capace solo di distribuire privilegi e garanzie agli addetti ai lavori. Tra autonomie gestionali capaci di servire la legge e quelle invece di compiacere le cordate politiche.
E’ necessaria una riforma che parta dalla divisione della carriere, quale ineluttabile metodo di civiltà politica, ed arrivi alla responsabilità dei magistrati nell’esercizio della loro autonomia. E’ necessaria persino una verifica democratica dell’efficienza e dell’imparzialità dell’azione penale, perché non si trasformi in mezzo di disturbo del confronto democratico del Paese, ovvero in copertura di illeciti e di arroganza del potere, come siamo stati purtroppo abituati ad osservare dagli scorci dello scorso millennio all’inizio del nuovo.
Signor Presidente Berlusconi, la speranza a cui mi sono richiamato in apertura è l’invito ad un insieme di scelte e provvedimenti che segnino una svolta alle cattive abitudini ed alle inefficienze del sistema Italia. Lei è in grado di segnare questa svolta. Nessun professionista della politica, invece, sarebbe capace di incidere in modo determinante sulle cattive abitudini della politica. Si è liberato di Buttiglione e Casini e dell’ancoraggio che questi rappresentavano con la vecchia logica degli intrecci burocratici e delle gestioni dei poteri diffusi.
Coraggio! Mostri ora di meritare il consenso che gli italiani, con fiducia e speranza, Le hanno voluto attribuire.
Il lavoro sarà difficile ed i nemici saranno tantissimi, ma gli ostacoli si possono superare se si ha la consapevolezza d’avere il popolo dalla propria parte. Utilizzi la grande forza di volontà che ha mostrato di possedere come imprenditore, ma anche come politico, oltre alla spinta della caparbia ostinazione degli italiani nel ricercare i motivi della speranza. Se ne faccia, così, fedele e coraggioso portavoce.
La storia l’aspetta. In bocca al lupo!
Vito Schepisi
3 commenti:
Caro signor Schepisi, mi meraviglio di come Lei, essendosi formato con Einaudi, Croce, Volteire, Popper, Friedman e l'illuminismo inglese, possa avere tali opinioni. Infatti ciò che si evince dalla lettura della Sua lettera è
un'immensa ristrettezza mentale. Ritengo che un uomo di "cultura", quale Lei si qualifica, debba saper indagare minuziosamente, aprendo la mente, su ciò che accade grazie ai principii dettati dalla propria formazione. L'uomo colto è colui che conosce la maggior parte dei fatti e che non si ferma alle apparenze. Perciò se lei appartenesse veramente a tale categoria, non scriverebbe certe cose. Pertanto le consiglio di informarsi un tanti
no meglio riguardo la reale situazione del nostro Paese e su chi ora lo governa, poiché intenda che la realtà è notevolmente più complessa di una rete televisiva e di qualche libro mal inteso. E ricordi che "servono fatti e non parole".
Caro signor Schepisi, mi meraviglio di come Lei, essendosi formato con Einaudi, Croce, Voltaire, Popper, Friedman e l'illuminismo inglese, possa avere tali opinioni. Infatti ciò che si evince dalla lettura della Sua lettera è un'immensa ristrettezza mentale. Ritengo che un uomo di "cultura", quale Lei si qualifica, debba saper indagare minuziosamente, aprendo la mente, su ciò che accade grazie ai principii dettati dalla propria formazione. L'uomo colto è colui che conosce la maggior parte dei fatti e che non si ferma alle apparenze. Perciò se lei appartenesse veramente a tale categoria, non scriverebbe certe cose. Pertanto le consiglio di informarsi un tantino meglio riguardo la reale situazione del nostro Paese e su chi ora lo governa, poiché intenda che la realtà è notevolmente più complessa di una rete televisiva e di qualche libro mal inteso. E ricordi che "servono fatti e non parole".
Caro signor anonimo mi meriveglierei se uno come lei invece di far ricorso allo spregio mi avesse fatto notare le presunte mie inesattezze. Ho espresso le mie opinioni in una lettera aperta al Presidente del Consiglio. Lei se ne è capace indichi le sue. Le mie sono sbagliate? Incolte? Superficiali? Abbia pazienza e ... con le sue qualità mi illumini! Se vuole che le dica come mi sarei comportato io, le dirò che non le contesterei il pensiero ma il contenuto delle sue indicazioni. In democrazia, e tra uomini liberi, si fa così!
Appunto i fatti sono ciò che gli italiani stanno apprezzando...si informi sui sondaggi anche di Repubblica (che, come sa e si è visto nelle campagne elettorali, sono sempre sbilanciati da una parte) e sul voto in Sicilia. Liberalismo non significa stare al di sopra delle parti ma dalla parte in cui ragione, riflessione, moderazione e voglia di privilegiare l'uomo e le sue esigenze prevalgono. Non si è liberali se tra un uomo mite che ragiona ed un violento che offende e minaccia ci si astenga dal manifestare il proprio pensiero e non si difenda dignità, tolleranza e libertà anche di essere come io sono ....per lei. Un incolto manipolato da una rete televisiva e strumentalizzato da letture mal interpretate. Se mi permette invece un suggerimento: eviti di inoltrarsi in percorsi difficili se non è adeguatamente equipaggiato. Non lo dico per spocchia ma per umiltà che almeno pari alla mia richiedo dagli altri.Buona serata. vs
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