Tra D’Alema e Vendola i rapporti negli ultimi due anni sono stati molto tesi. C’è una pace armata tra i due, ma il colpo, da una parte e dall’altra, è sempre in canna. D’Alema vede in Vendola l’ostacolo alla sua leadership in Puglia. Già segretario regionale dirottato dal centralismo democratico del pci, D’alema sul territorio pugliese ci ha messo la bandierina sin dal 1994, ai tempi delle linguine alle cozze consumate a Gallipoli con Rocco Buttiglione, durante uno dei tanti salti della quaglia dei due. Il velista ora attribuisce al leader di Sinistra, Ecologia e Libertà la responsabilità di aver spento i riflettori sul suo laboratorio pugliese col quale si proponeva di sconvolgere gli equilibri della politica nazionale.
Vendola è un politico esibizionista. E’ uomo dagli effetti speciali, abile ad occupare il palcoscenico. La sua sfacciata smania di apparire e il suo linguaggio mordente e aggressivo gli valgono nell’immaginario collettivo l’accostamento al popolano Masaniello che, verso la metà del seicento, per i continui aumenti della gabelle, fino a rendere difficile la vita quotidiana, si mise a capo della rivolta degli stremati napoletani contro il dominio spagnolo.
In un passaggio economico-politico di difficoltà oggettiva, per una crisi di rilevanza internazionale che ha lasciato strascichi che si fanno sentire sulla produzione industriale e sulla crescita, e che in Italia incide sui giovani e sull’occupazione, Vendola si mostra più abile degli altri ad attrarre su di se i riflettori del palcoscenico politico, lasciando agli altri, e allo skipper coi baffi, solo la presenza nei titoli di coda.
Cavalcare la pantera del malcontento, del resto, è stata sempre l’arma vincente della sinistra. Vendola lo sa fare molto bene. L’ha fatto anche in Puglia nel 2005 con i tagli alla sanità. La sinistra riesce sempre a vendere molto bene la sua opposizione, ma quando le è capitato di andare al governo e di trovarsi a rispondere in proprio ha poi mostrato quando non sia oggettivamente facile fare le scelte, soprattutto quando i bisogni sono tanti e le risorse poche. Vendere illusioni è un’arte. Una volta, ad esempio, dicevano che ad est, oltre la cortina di ferro dei due blocchi, c’era il Paradiso. Le illusioni, però, sono un po’ come i sogni e finiscono sempre allo stesso modo: aprendo gli occhi.
D’Alema, invece, è un vendicativo, non è uomo che se le lascia passare, e quando gli montano i fumi dell’ira diventa come un fiume in piena e strabocca. E’ un risvolto del suo carattere che lo rende più umano, dissolvendo quel grigiore severo che spesso lo fa apparire come una macchina da calcolo. In un’intervista, infatti, ha appena sostenuto che Vendola sia inadatto a governare, mentre Bersani “ha più stile”.
Ma oltre al fastidio procurato da Vendola, sempre pronto a occupare la scena, trascurando, invece, la realtà pugliese in cui la confusione regna ancor più sovrana, se c’è qualcosa che fa andare in fibrillazione il PD è il farsi tirare la giacchetta dagli alleati. Bersani come D’Alema, sono uomini di apparato, sono cresciuti tra i protagonisti della vecchia guardia di quel Pci che non ha mai tollerato nemici a sinistra. E Vendola, diciamolo chiaro, è fastidioso. Il governatore pugliese è uno che si mette sempre alle costole, tallona e preme di continuo con quella sua richiesta, a ogni piè sospinto, delle primarie per scegliere, sin da ora, il candidato della sinistra alle prossime politiche. Ed è su questa sua petulanza che D’Alema nell’intervista con Luca Sofri ha sfoderato l’arma e fatto fuoco su Niki, definendolo inadatto.
Le elezioni, salvo le novità che fanno sognare Bersani, saranno nel 2013. Mancano due anni e non è stato ancora sciolto nessun nodo politico a sinistra. Si discute ancora, ad esempio, se debba stringersi o meno un accordo con il terzo polo, con Fini e Casini in particolare. E questi pongono condizioni e limiti. A conti fatti, se ci saranno gli uni, non dovrebbero esserci gli altri, ma il condizionale è d’obbligo. In Italia, tra i politici, sono un po’ tutti Buttiglione.
L’immagine del PD non è molto fluida, e non c’è grande concordia. Bersani e compagni fanno anche finta di ignorare che non è stato il PD a vincere le recenti amministrative, ma i candidati che si sono opposti ai loro uomini, a Napoli, come a Milano. Il PD ha perso terreno un po’ dappertutto e fa fatica a mantenere le soglie minime delle sue percentuali di consenso. Vincono più i candidati di rottura che quelli di una sinistra riformista e moderata. Per dirla con chiarezza, vince più la sinistra che il centrosinistra. E’ evidente che l’aver assecondato il partito della rottura e della chiusura al dialogo e alle riforme, non paga all’immagine di un partito che vorrebbe essere moderato e riformista. Alla fine gli elettori di sinistra hanno preferito gli originali ai cerchiobottisti.
Non è stata una bella scena quella offerta dal balbettante Bersani, accusato e rimproverato da Vendola di rincorrere la Lega per far cadere Berlusconi. Il segretario del PD è apparso impacciato e nervoso dinanzi allo spavaldo Masaniello del ventunesimo secolo che lo bacchettava come uno scolaro che non si era comportato bene e che non aveva svolto con diligenza i suoi compiti. Bersani dà spesso l’impressione di non sapere mai a chi santo votarsi e da qualche tempo si rende persino ridicolo con quella sua continua attività di svolgersi e rimboccarsi le maniche.
Anche Veltroni chiude a Vendola. La sinistra in verità è in confusione. Di Pietro è arrivato a proporre l’improponibile: ha riesumato Prodi come candidato della sinistra. Della serie non c’è due senza tre o, per chi la preferisce più truce, della serie … ritornano. Le opposizioni sono disunite su tutto: programmi, alleanze, pregiudiziali sugli uni e sugli altri, strategie, candidati. Resta solo il solito collante: quello dell’unione di tutti contro Berlusconi. Ma se tutti per uno può andar bene, la difficoltà è nel trovare quell’uno per tutti e, soprattutto, nello stabilire per cosa.
La scelta a sinistra sembra così sempre più un’avventura e il centrodestra, per recuperare spazio e fiducia, non avrebbe che da farlo capire agli elettori.
Vito Schepisi