Non si sa quanto Indro Montanelli avrebbe gradito essere chiamato in causa, in occasione del centenario della sua nascita, per sentirsi da miglior vita tirare la giacchetta perché avallasse la tesi di un’Italia occupata da un regime che, armato di manganello, impedisse la libertà d’informazione. E’ l’Italia che all’illusionista Santoro piacerebbe veder materializzare, per far emergere il suo immaginario eroismo di coraggioso difensore della libertà d’informazione o ergersi a vittima sacrificale, corredato di coordinate iban per bonifico bancario di riparazione.
Non si sa se Montanelli avrebbe persino gradito che a parlare di giornalismo, di professionalità e di etica dell’informazione ed ad accusare di autoritarismo ed addirittura di fascismo il leder moderato del Paese potessero essere giornalisti come Santoro, Gad Lerner, Travaglio, Mentana e Mieli.
Ancora una volta sulla televisione pubblica è stata allestita una trasmissione con molte ipocrisie e piena di rievocazioni di episodi di comodo. Una trasmissione sostenuta dallo staff e dal pubblico in sala ben allineato, come accade sempre e come piace al conduttore che però in questa circostanza è apparso, approssimativo e impreciso. Questa volta l’obiettivo di dimostrare che Berlusconi abbia il controllo dell’informazione era così inverosimile che la manipolazione gli è sfuggita di mano. Annozero si è concluso tra il nervosismo di Santoro, smentito con buona eleganza da Mieli e Mentana, con Lerner mortificato da Belpietro, con lo stereotipato sorriso simil-ebete di Travaglio e con la tristezza delle vignette del riesumato Vauro.
Per tornare al Giornalista di Fucecchio, nessuno ha mai nascosto la crisi dei rapporti tra Berlusconi e Montanelli, rispettivamente editore e direttore del Giornale fino all’inizio del 1994, e sfociata in una polemica rottura. Nessuno però, per onestà intellettuale, dovrebbe nascondere che il conflitto riveniva dalla natura dei personaggi e che fosse più caratteriale che politico, più di metodo che di merito. Quella di riconoscere a Montanelli il peso del suo fastidio per rischiare di diventare il direttore di un giornale allineato su di una parte politica, è la più grande espressione di lealtà che tutti amici ed avversari gli devono, anche coloro che sono rimasti delusi dalle posizioni assunte nei suoi ultimi anni di vita, e che lo hanno anche amabilmente perdonato.
La testimonianza della grande fermezza e personalità del fondatore de “Il Giornale” non sta tanto nel riconoscimento interessato dei suoi avversari (politici e giornalisti), quanto, invece, è da ricercare nella ferocia dei medesimi nel contrastarlo quando, col suo giornale era una voce fuori dal coro. E’ degno di grande stima ed onore, infatti, il Montanelli che uscito dal Corriere della Sera fonda Il Giornale ed occupa la scena, nonostante la ferocia e l’arroganza che covava all’interno di una opposizione politica che condizionava stampa, cultura ed istituzioni. In quell’opposizione politica che dominava le piazze, si ricorda che c’erano anche i Santoro, i Mieli ed i Gad Lerner, oltre a tanti altri che al tempo non si limitavano a porsi contro la diversità delle opinioni, ma le criminalizzavano, le minacciavano, le reprimevano. Invocavano allora un’informazione di classe, tutt’altro che libera.
A posteriori sono stati chiamati cattivi maestri e, per gli eccessi di alcuni, a sinistra si diceva che fossero anche compagni che sbagliavano. Impugnare un’arma e sparare, però, è stata solo la parte più infame di un metodo che comunque mirava a criminalizzare coloro che la pensavano in modo diverso. Dietro le pistole c’erano i movimenti di pensiero che teorizzavano la pretesa massimalista che non tutti potessero avere lo stesso diritto di esprimersi.
Invece di parlare dell’arcigno e tagliente risentimento di Montanelli contro Berlusconi, fingendo di ignorare che solo pochi mesi prima della rottura ne aveva tessuto le lodi, Santoro ed i suoi ospiti avrebbero fatto meglio a parlare della loro brillante carriera approdata ora sui lauti guadagni a spese dei contribuenti, ora nel sostegno di caste e famiglie industriali. Una bella e vantaggiosa evoluzione dopo esser stati a vociare nelle piazze contro la società borghese e per la lotta di classe ed avallato tesi sull’informazione anch’essa di classe.
Appare inverosimile pensare che ci sia un’informazione che abbia per protagonisti di riferimento gli stessi personaggi che sostengono che sia, invece, manipolata dal signore di Arcore.
E’ più che un lapsus freudiano il loro: è un dubbio amletico.
Non si sa se Montanelli avrebbe persino gradito che a parlare di giornalismo, di professionalità e di etica dell’informazione ed ad accusare di autoritarismo ed addirittura di fascismo il leder moderato del Paese potessero essere giornalisti come Santoro, Gad Lerner, Travaglio, Mentana e Mieli.
Ancora una volta sulla televisione pubblica è stata allestita una trasmissione con molte ipocrisie e piena di rievocazioni di episodi di comodo. Una trasmissione sostenuta dallo staff e dal pubblico in sala ben allineato, come accade sempre e come piace al conduttore che però in questa circostanza è apparso, approssimativo e impreciso. Questa volta l’obiettivo di dimostrare che Berlusconi abbia il controllo dell’informazione era così inverosimile che la manipolazione gli è sfuggita di mano. Annozero si è concluso tra il nervosismo di Santoro, smentito con buona eleganza da Mieli e Mentana, con Lerner mortificato da Belpietro, con lo stereotipato sorriso simil-ebete di Travaglio e con la tristezza delle vignette del riesumato Vauro.
Per tornare al Giornalista di Fucecchio, nessuno ha mai nascosto la crisi dei rapporti tra Berlusconi e Montanelli, rispettivamente editore e direttore del Giornale fino all’inizio del 1994, e sfociata in una polemica rottura. Nessuno però, per onestà intellettuale, dovrebbe nascondere che il conflitto riveniva dalla natura dei personaggi e che fosse più caratteriale che politico, più di metodo che di merito. Quella di riconoscere a Montanelli il peso del suo fastidio per rischiare di diventare il direttore di un giornale allineato su di una parte politica, è la più grande espressione di lealtà che tutti amici ed avversari gli devono, anche coloro che sono rimasti delusi dalle posizioni assunte nei suoi ultimi anni di vita, e che lo hanno anche amabilmente perdonato.
La testimonianza della grande fermezza e personalità del fondatore de “Il Giornale” non sta tanto nel riconoscimento interessato dei suoi avversari (politici e giornalisti), quanto, invece, è da ricercare nella ferocia dei medesimi nel contrastarlo quando, col suo giornale era una voce fuori dal coro. E’ degno di grande stima ed onore, infatti, il Montanelli che uscito dal Corriere della Sera fonda Il Giornale ed occupa la scena, nonostante la ferocia e l’arroganza che covava all’interno di una opposizione politica che condizionava stampa, cultura ed istituzioni. In quell’opposizione politica che dominava le piazze, si ricorda che c’erano anche i Santoro, i Mieli ed i Gad Lerner, oltre a tanti altri che al tempo non si limitavano a porsi contro la diversità delle opinioni, ma le criminalizzavano, le minacciavano, le reprimevano. Invocavano allora un’informazione di classe, tutt’altro che libera.
A posteriori sono stati chiamati cattivi maestri e, per gli eccessi di alcuni, a sinistra si diceva che fossero anche compagni che sbagliavano. Impugnare un’arma e sparare, però, è stata solo la parte più infame di un metodo che comunque mirava a criminalizzare coloro che la pensavano in modo diverso. Dietro le pistole c’erano i movimenti di pensiero che teorizzavano la pretesa massimalista che non tutti potessero avere lo stesso diritto di esprimersi.
Invece di parlare dell’arcigno e tagliente risentimento di Montanelli contro Berlusconi, fingendo di ignorare che solo pochi mesi prima della rottura ne aveva tessuto le lodi, Santoro ed i suoi ospiti avrebbero fatto meglio a parlare della loro brillante carriera approdata ora sui lauti guadagni a spese dei contribuenti, ora nel sostegno di caste e famiglie industriali. Una bella e vantaggiosa evoluzione dopo esser stati a vociare nelle piazze contro la società borghese e per la lotta di classe ed avallato tesi sull’informazione anch’essa di classe.
Appare inverosimile pensare che ci sia un’informazione che abbia per protagonisti di riferimento gli stessi personaggi che sostengono che sia, invece, manipolata dal signore di Arcore.
E’ più che un lapsus freudiano il loro: è un dubbio amletico.
Vito Schepisi