Le dimissioni di Fitto da ministro non hanno alcun senso, ora. L’errore è stato nel pensare che l’ex coordinatore del Pdl in Puglia potesse imporre il suo candidato, a dispetto degli elettori e per suo calcolo di opportunità. Non è in discussione la persona, squisita, preparata e capace, del candidato Rocco Palese, ma il metodo con cui si è arrivati alla sua indicazione. Alla luce dei fatti, risultano fondate le preoccupazioni, manifestate per tempo dal Presidente Berlusconi, quando chiedeva, per la candidatura alla Presidenza della Regione Puglia, una soluzione forte e tale da poter recuperare l’unità degli elettori pugliesi di centrodestra. Ma, per ben individuate responsabilità, non è stato così.
Non hanno alcun senso ora le dimissioni. La responsabilità di ciò che è successo non è soltanto di chi ha ritenuto di fare a modo suo, e per proprio interesse ed opportunità, ma è anche del sistema organizzativo del Pdl che l’ha consentito. Si abbia ora il coraggio e la forza di cambiare metodi e strumenti.
Non è in discussione la scelta, legittima, del Pdl e del centrodestra pugliese nell’opporsi alla candidatura della Poli Bortone. Se si contesta il ruolo di “tenore” di Fitto, si deve poter contestare anche quello di “soprano” della signora della destra pugliese. Nessuna fiducia era, infatti, possibile rimettere nelle mani di colei che, per una mancata nomina nella compagine ministeriale, da circa due anni alimentava un rancore contro l’area politica che l’aveva portata in Parlamento, ed in cui ancora dice di riconoscersi.
Se non è pensabile l’applicazione in politica del principio che la somma faccia sempre il risultato e se non deve, altresì, ritenersi possibile il ricorso alla libera uscita ed al dispetto come forma di ritorsione, non deve neanche ritenersi possibile pensare che il confronto, le diversità, i contrasti personali vengano regolati da una sola persona, e che questi stabilisca da solo le scelte di tutto il Pdl pugliese.
Su questo il centrodestra, non solo della Puglia, dovrebbe prendere esempio dalla scuola consolidata della sinistra che, invece, pur tra mille contraddizioni, spesso oltremodo divisa, a volte inscenando finzioni, riesce sempre a compattarsi, come è appunto capitato in Puglia con Vendola.
Nel tacco d’Italia è venuta a mancare una vera partecipazione complessiva alle decisioni dei responsabili del Pdl, sia a livello locale che nazionale. La responsabilità è nell’aver consentito ad un solo uomo di fare la sua scelta, benché controversa. E’ sembrato un vero atto di forza, imposto senza un dibattito ragionato e senza un vero confronto sulla scelta che si stava facendo. Ancora più grave è apparso il modo di lasciare Il popolo del Pdl, quello al di fuori della vita di partito, dilaniarsi sulle possibili candidature che circolavano, per restare, alla fine, completamente tagliato fuori dalle decisioni prese da un solo uomo.
Il popolo del centrodestra si è diviso ed è persino entrato in conflitto, rincorrendo, in termini a volte esclusivi, le proprie diverse correnti di pensiero. Non è sembrato saggio deludere il sostegno spontaneo dei sostenitori dei diversi candidati proposti con un colpo di mano, pochi minuti prima della conoscenza del risultato, ampiamente previsto, alle primarie della sinistra, della candidatura di Vendola.
Una scelta di tempo affrettata e scomposta che ha consentito alla Poli Bortone ed a Casini di raggiungere con facilità il loro risultato personale e politico. La senatrice ex Pdl ha potuto così dimostrare ciò che asseriva, e cioè che senza la sua candidatura alla Presidenza il centrodestra sarebbe stato perdente. Il leader dell’UDC, invece, ha centrato l’obiettivo di impedire che la vittoria del Pdl, in questa tornata elettorale, potesse avere le caratteristiche di un trionfo della linea bipolare del Pdl e di Berlusconi. Per Casini si è trattato dello stesso gioco riuscito in Liguria e tentato in Piemonte.
Se non è pensabile, come si è detto, che la somma faccia sempre il risultato, è immaginabile, invece, che la divisone lo allontani. Per intelligenza politica, se si è veri leaders, occorre sempre prenderne atto.
L’intuito di poter coniugare, in una strategia complessiva, le indicazioni ideali con i sentimenti del popolo è fondamentale in politica. L’esempio di Berlusconi è una prova evidente di questa capacità. Occorre che ci sia sintonia e coerenza tra gli obiettivi ed il mezzo con cui si voglia raggiungerli. Ma, se questa intuizione va bene ove vi siano uomini capaci di interpretarla con intelligenza ed umiltà, va meno bene ove vi sia arroganza e presunzione.
Una regione come la Puglia che va dal Salento al Gargano, molto diversificata nelle specificità del territorio, così lunga e vasta da potersi pensare unita nelle indicazioni delle sue priorità politiche, non può pensarsi confinata in un conflitto di predominio personale tutto salentino. Il risultato è che il candidato del Pdl Rocco Palese ha subito la sua sconfitta andando sotto non solo a Bari e provincia, ed in modo massiccio (meno 10,6% rispetto a Vendola), ma anche a Lecce e provincia (meno 0,9%).
L’elettore si mostra intransigente sui conflitti personali, perché non li comprende e non gli interessano.
E’ arrivato il tempo di pensare, invece, a forme di maggiore partecipazione popolare per l’indicazione dei candidati da eleggere. Il ricorso alle primarie, fatte in modo vero e serio, con contendenti veri, potrebbe essere una soluzione. Non si può pensare che un partito pluralista e popolare possa dipendere dagli umori di un solo uomo: non è serio, né condivisibile e, come nel caso pugliese, c’è il rischio che si mostri perdente.
Vito Schepisi