Cofferati è stato un leader carismatico della Cgil. Con la faccia da duro, l’atteggiamento da inflessibile vendicatore, con fede cieca ed inossidabile, ha guidato il sindacato di sinistra contro l’innovazione, le riforme, l’efficienza, lo sviluppo, l’impresa e soprattutto contro la ragione di un sistema globale che vedeva invece la sinistra sindacale impegnata nella difesa conservativa dei vecchi equilibri. Come se tutto fosse fermo ed il mondo del lavoro e della produzione fossero chiusi in una realtà autarchica. L’ha fatto, però, da leader credibile nella società. L’ha fatto con grande capacità di compattare i lavoratori anche confrontandosi con i distinguo di Cisl e Uil. Anche a rischio di incrinare l’unità sindacale.
I suoi “no” reggevano al confronto con la realtà di un Paese pregiudizialmente diviso. Quando parlava Sergio Cofferati occupava, come Luciano Lama prima di lui, non solo le piazze ma anche tutte le prime pagine dei giornali di ogni orientamento politico. L’attuale sindaco di Bologna è stato un grande leader sindacale, uno di quelli che passeranno alla storia per la sua durezza e la sua determinazione. E’ inciampato sulla responsabilità nella criminalizzazione di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse per l’elaborazione della legge che prende il suo nome su lavoro e precariato (i lavori a progetto).
Ora fa il sindaco di Bologna e, passato dalla parte delle “istituzioni”, è diventato decisionista, severo, intransigente e soprattutto concreto.
Cofferati è stato l’ultimo vero leader comunista del sindacato di sinistra. Come Berlinguer per il pci.
L’attuale segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, invece è solo un post comunista a metà strada tra Veltroni e Diliberto, una quinta colonna della sinistra politica che lotta contro il Governo “nemico” solo in quanto tale.
Il suo è un antagonismo senza sbocchi credibili, privo di visione strategica, e senza proposte alternative realizzabili. Ha sviluppato in passato e si appresta a sviluppare per il futuro una opposizione battagliera ma sterile nella sostanza e soprattutto senza fondate idee su modelli sociali diversi. Appare come uno di quelli che ritengono che sia opportuno che ci sia tizio al posto di caio, solo perché è di sinistra, anche se fa guai e massacra i lavoratori come è stato con Prodi.
L’attuale leader della Cgil è uno stratega della doppia verità e cultore dell’opportunismo a geometria variabile. Un oppositore, senza se e senza ma, dalla faccia arcigna e dall’atteggiamento risentito per nascondere un antagonismo senza senso e senza ragione. La sua contrapposizione dà l’idea d’essere così palesemente preconcetta da spingerlo a dover abbandonare un tavolo di confronto solo perché limitato ad un rappresentante per ogni parte sociale, come è accaduto per la convocazione del ministro Brunetta per discutere e confrontarsi sul pubblico impiego. Una giustificazione priva di senso compiuto e che nasconde più una parvenza di difficoltà per il confronto che motivo di rottura per un metodo non condiviso.
Nei due anni precedenti, mentre Prodi governava, Epifani ha assistito senza moti d’impeto al massacro dei lavoratori, alle vessazioni verso le fasce deboli, al tentativo di demolire le politiche dell’occupazione (legge Biagi) del precedente governo di Berlusconi. Al grido delle garanzie da conquistare per i giovani precari, non ne ha favorito l’introduzione d’una. L’azione del sindacato di sinistra si è invece solo distinta nel garantire privilegi agli occupati, con aumenti di costi (l’abolizione dello scalone Maroni del costo di oltre 10 miliardi di Euro) che hanno pure contribuito a comprimere risorse dello Stato altrimenti utilizzabili.
Sono soprattutto le difficoltà sulle politiche di sviluppo che mirano a rendere precario il futuro delle giovani generazioni. Non è, infatti, solo precario il lavoro, ma anche la condizione dei giovani che non riescono a trovare lavoro. L’occupazione, invece, si realizza se c’è fiducia e rispetto tra impresa, istituzioni e parti sociali. Servono le condizioni sociali perché ci sia impulso alla crescita e si dia corso ai necessari investimenti
Stranamente il governo più impopolare della storia d’ Italia dal dopoguerra in poi ha goduto di una straordinaria “pax” sociale. La Cgil si è distinta maggiormente per la sua presenza sui temi del finto pacifismo della sinistra e sulla lotta contro i simboli dei paesi liberi e democratici, come Israele ed USA, ad esempio, che nella difesa del potere di acquisto di salari e pensioni. Più contro i valori occidentali, la sua cultura e le sue tradizioni che contro gli sprechi, le caste, le inefficienze dei servizi dello Stato. Sono state tollerate carenze verso i cittadini, indifferenza sulle politiche del bisogno che si sono, come sempre accade, riversate contro i diritti dei cittadini più bisognosi. Contro gli ammalati, i pensionati, l’infanzia, le donne e le mamme.
Non potrà che risultare “patetico” il tentativo di Epifani di riportare il Paese indietro in un conflitto che punta all’immobilismo ed alla conservazione dei privilegi dei diversi livelli di quelle caste di cui il sindacato non può essere considerato elemento estraneo.
I suoi “no” reggevano al confronto con la realtà di un Paese pregiudizialmente diviso. Quando parlava Sergio Cofferati occupava, come Luciano Lama prima di lui, non solo le piazze ma anche tutte le prime pagine dei giornali di ogni orientamento politico. L’attuale sindaco di Bologna è stato un grande leader sindacale, uno di quelli che passeranno alla storia per la sua durezza e la sua determinazione. E’ inciampato sulla responsabilità nella criminalizzazione di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse per l’elaborazione della legge che prende il suo nome su lavoro e precariato (i lavori a progetto).
Ora fa il sindaco di Bologna e, passato dalla parte delle “istituzioni”, è diventato decisionista, severo, intransigente e soprattutto concreto.
Cofferati è stato l’ultimo vero leader comunista del sindacato di sinistra. Come Berlinguer per il pci.
L’attuale segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, invece è solo un post comunista a metà strada tra Veltroni e Diliberto, una quinta colonna della sinistra politica che lotta contro il Governo “nemico” solo in quanto tale.
Il suo è un antagonismo senza sbocchi credibili, privo di visione strategica, e senza proposte alternative realizzabili. Ha sviluppato in passato e si appresta a sviluppare per il futuro una opposizione battagliera ma sterile nella sostanza e soprattutto senza fondate idee su modelli sociali diversi. Appare come uno di quelli che ritengono che sia opportuno che ci sia tizio al posto di caio, solo perché è di sinistra, anche se fa guai e massacra i lavoratori come è stato con Prodi.
L’attuale leader della Cgil è uno stratega della doppia verità e cultore dell’opportunismo a geometria variabile. Un oppositore, senza se e senza ma, dalla faccia arcigna e dall’atteggiamento risentito per nascondere un antagonismo senza senso e senza ragione. La sua contrapposizione dà l’idea d’essere così palesemente preconcetta da spingerlo a dover abbandonare un tavolo di confronto solo perché limitato ad un rappresentante per ogni parte sociale, come è accaduto per la convocazione del ministro Brunetta per discutere e confrontarsi sul pubblico impiego. Una giustificazione priva di senso compiuto e che nasconde più una parvenza di difficoltà per il confronto che motivo di rottura per un metodo non condiviso.
Nei due anni precedenti, mentre Prodi governava, Epifani ha assistito senza moti d’impeto al massacro dei lavoratori, alle vessazioni verso le fasce deboli, al tentativo di demolire le politiche dell’occupazione (legge Biagi) del precedente governo di Berlusconi. Al grido delle garanzie da conquistare per i giovani precari, non ne ha favorito l’introduzione d’una. L’azione del sindacato di sinistra si è invece solo distinta nel garantire privilegi agli occupati, con aumenti di costi (l’abolizione dello scalone Maroni del costo di oltre 10 miliardi di Euro) che hanno pure contribuito a comprimere risorse dello Stato altrimenti utilizzabili.
Sono soprattutto le difficoltà sulle politiche di sviluppo che mirano a rendere precario il futuro delle giovani generazioni. Non è, infatti, solo precario il lavoro, ma anche la condizione dei giovani che non riescono a trovare lavoro. L’occupazione, invece, si realizza se c’è fiducia e rispetto tra impresa, istituzioni e parti sociali. Servono le condizioni sociali perché ci sia impulso alla crescita e si dia corso ai necessari investimenti
Stranamente il governo più impopolare della storia d’ Italia dal dopoguerra in poi ha goduto di una straordinaria “pax” sociale. La Cgil si è distinta maggiormente per la sua presenza sui temi del finto pacifismo della sinistra e sulla lotta contro i simboli dei paesi liberi e democratici, come Israele ed USA, ad esempio, che nella difesa del potere di acquisto di salari e pensioni. Più contro i valori occidentali, la sua cultura e le sue tradizioni che contro gli sprechi, le caste, le inefficienze dei servizi dello Stato. Sono state tollerate carenze verso i cittadini, indifferenza sulle politiche del bisogno che si sono, come sempre accade, riversate contro i diritti dei cittadini più bisognosi. Contro gli ammalati, i pensionati, l’infanzia, le donne e le mamme.
Non potrà che risultare “patetico” il tentativo di Epifani di riportare il Paese indietro in un conflitto che punta all’immobilismo ed alla conservazione dei privilegi dei diversi livelli di quelle caste di cui il sindacato non può essere considerato elemento estraneo.
Vito Schepisi