29 marzo 2011
Lezioni di politica in IV elementare
25 marzo 2011
Profughi e clandestini
In Italia è sempre molto più difficile. Tutto è in armonia con l’incomprensibile abitudine di flagellarci da soli. Non esiste un normale e sereno confronto politico sulle scelte. Nel bene e nel male, per ogni questione si alzano i toni, come se tutto fosse così grave e pregiudiziale o addirittura epocale. Le cose più futili sono caricate di eccessiva tensione, fino ai toni allarmistici. Al contrario, si mostra distacco e indifferenza per le scelte e gli approfondimenti di maggior rilevanza.
Più emergono problemi e più subentra, anziché l’ingegno, la furbizia di mettere in difficoltà l’avversario politico. Persino il Parlamento si trasforma in una piazza per comizi. I discorsi diventano accorati e i toni esasperati. Invece che discutere sulle opportunità delle scelte, si prova a toccare le corde emotive del pubblico, come in una stucchevole campagna elettorale. La democrazia del confronto lascia il posto alla scena, ma le questioni, se non risolte, riemergono e, se gravi, ipotecano il futuro di tutti.
La questione libica, ad esempio, va oltre le scelte e le contese politiche tra maggioranza e opposizione. L’Italia è nel gruppo delle nazioni “volenterose” interessate alla pacificazione dell’area. L’intervento in difesa della popolazione civile è stato stabilito dall’ONU con la risoluzione 1973 ed, eccetto pochi contrari e alcuni deboli distinguo, e qualche calcolo, non ci sarebbe, nel Paese e nel Parlamento, nessuna radicale frattura politica, anche se appare tutto il contrario.
L’attenzione italiana è particolare perché in quest’area geografica subentrano interessi nazionali precisi. L’Italia intende rispettare alla lettera le motivazioni dell’intervento, ma non può sottacere le particolari implicanze che ne danno un significato più ampio. La Libia è a poche miglia marine dalle coste italiane e con lo stato nordafricano sono in atto accordi economici e contratti di fornitura di gas e di petrolio. Sono, inoltre, in corso programmi di lavoro e non ultima la definizione di un contenzioso che risale ai tempi in cui la Libia era una colonia italiana.
Il Nord Africa, inoltre, sta attraversando un periodo di profonde tensioni. Alle turbolenze religiose per la presenza di movimenti fondamentalisti si sono aggiunti moti di protesta e capovolgimenti politici. Su tutta l’area mediterranea dell’Africa, la popolazione si è sollevata per rivendicare diritti e per protestare contro le loro precarie condizioni di vita. Non c’è lavoro e non c’è cibo e c’è rabbia e disperazione. Prima la Tunisia, poi L’Egitto si sono liberati dei dittatori al governo. Ora ci prova la Libia. Altre tensioni covano in Iran, in Siria, nel Bahrein. L’esito dei capovolgimenti è incerto, ma è certo che le questioni non potranno essere facilmente risolte. Le incertezze origineranno consistenti flussi migratori, l’ONU stima in 250 mila i possibili migranti, e l’Italia è paese di frontiera verso l’Europa, ed è la porta d’ingresso verso ciò che appare come il benessere occidentale.
E’ una questione importante. Si tratta di esseri umani che vedono nella fuga dalle loro terre di origine una speranza di vita, ma l’immigrazione, se non è gestita, se non trova la comunità internazionale pronta a farsene carico, può diventare un inferno per tutti. Sarebbe opportuno agire nei luoghi dove trae origine per frenarla, naturalmente con la collaborazione dei nuovi governi.
Sono stati lanciati, e da tempo, segnali di questo tipo verso la Comunità Europea, è stata chiesta collaborazione e strategie condivise, senza ottenere, fino ad oggi, risposte concrete. L’Italia dovrebbe ritrovarsi tutta unita per fronteggiare quella che si rivela come una seria emergenza nazionale. Ma non è così. Un’attenzione di segno contrario, infatti, proviene proprio dalle opposizioni che sfruttano anche questa tragedia umanitaria per creare difficoltà al Governo e per logorare l’immagine dell’Italia sulla scena europea e internazionale. E’ un film che purtroppo abbiamo già visto.
Le avvisaglie ci sono anche in questa nuova emergenza. C’è troppa retorica e dietro si nascondono due obiettivi: la visibilità e creare difficoltà al governo. Ascoltando alcuni politici è come se le emergenze non siano tali, cioè emergenze, e come se le stesse si possano gestire nella normalità. E’ il caso, ad esempio, del Cara di Bari, dove da subito Vendola, dopo aver fatto al tavolo delle regioni il paladino dei diseredati, ha denunciato disagi organizzativi nell’espletamento delle pratiche di accoglienza, inviando alla stampa, prima che al ministro Maroni, la sua accorata lettera dai toni umani.
A nessuno dovrebbe essere consentito di far lo sciacallo sulla pelle degli uomini, e sarebbe auspicabile che anche questo rientrasse nelle scelte umanitarie che si fanno, più che le prolissità verbali di alcuni. Quando si tratta di personale politico “in carriera”, chi sfrutta queste tragedie per arricchirsi di visibilità non è moralmente diverso da chi lo fa, ad esempio, saccheggiando le case dei terremotati. La Puglia, che è fatta di persone serie e concrete, è stanca di un Masaniello in formato poetico.
Il problema che si sta ponendo all’Italia richiederà grande responsabilità e molta prudenza. E’ bene non contare più di tanto sulla disponibilità degli altri paesi europei, abili a trarre giudizi morali sugli altri, ma abili anche a sfilarsi nel momento di assumersi responsabilità ed oneri.
L’Italia non può chiudere la porta in faccia a chi scappa dalla guerra o dalle persecuzioni politiche, ma non può neanche farsi carico della massa di chi abbandona il proprio paese per insediarsi nel nostro, senza un lavoro, senza una dimora, all’avventura e senza una prospettiva sicura.
Tra i flussi dei migranti si prevedono infiltrazioni di evasi dalle carceri dei paesi in rivolta, si prevedono ingressi di terroristi e di manovalanza criminale, basti pensare che un terzo della popolazione carceraria italiana è composta da extracomunitari. Non è una novità che la malavita italiana si serva dei clandestini per infoltire l’esercito del crimine.
E’ il tempo delle scelte e sarebbe auspicabile farle insieme, tutti uniti come italiani. Il nostro è un popolo che è disposto a collaborare, ad aiutare, a comprendere, ma non sempre a subire. L’Italia ha già le sue difficoltà, ha le sue emergenze, ha un sud non ancora integrato nel processo unitario del Paese - dopo 150 anni dall’Unità d’Italia - ha già sul suo territorio, tra regolari e clandestini, la presenza di immigrati pari al 10% dell’intera popolazione italiana. Ora ha il dovere, per solidarietà e per responsabilità umana, di dar asilo a chi fugge dalla paura, ma non alle masse di migranti in cerca di avventura. E’ una scelta da fare, meglio se insieme a tutti gli italiani. Profughi si, ma clandestini no.
Vito Schepisi
08 marzo 2011
Vendola sta distruggendo la Puglia
01 marzo 2011
Un sistema di regole che valga per tutti
L’idea che la Giustizia possa essere asservita a una fazione politica è già notizia che desterebbe inquietudine in chi pensa che il primo valore della democrazia sia quello, per lo Stato e per le sue articolazioni, di un modo indistinto di elargire diritti e di richiedere doveri ai cittadini.
Abbiamo la sensazione di trovarci invece in un Paese in cui accadono cose strane. Ci sono pericolosi mafiosi che sono scarcerati perché ci si dimentica di depositare le motivazioni delle sentenze, pericolosi assassini assolti pur con la consapevolezza dei loro delitti, teppisti che assaltano le forze dell’ordine e che, presi, sono subito rimessi in libertà - Come se avessero solo partecipato a una fiction televisiva - pur avendo lasciato sul campo poliziotti feriti e azioni vandaliche per milioni di euro. Ci sono indagini e intercettazioni telefoniche su traffici internazionali e su spaccio di droga che sono stati bloccati - per mancanza di uomini e di mezzi economici - da quella stessa procura che per un anno non ha risparmiato un euro per seguire, indagare, intercettare chi anche per sbaglio varcava le soglie delle residenze private, ad Arcore o altrove, del Premier Berlusconi. Ci sono, inoltre, anche pericolosi terroristi internazionali che i magistrati lasciano indisturbati di progettare attentati o di predicare odio religioso, antisemita e antioccidentale sul territorio italiano. Le Procure italiane da Napoli a Milano e da Palermo a Trani mostrano però un accanimento che non ha uguali contro un solo uomo, che è poi lo stesso che ha ricevuto le preferenze degli elettori italiani.
Per la Giustizia ogni caso è a se stante. Un garantista non dovrebbe mai chiedere l’applicazione di valutazioni massive, ma spingere perché siano percepiti ed interpretati, caso per caso, i pesi, le implicanze, le responsabilità, la volontà e la natura dei crimini.
Perché sia esercitata in nome e per conto del popolo, gli operatori della Giustizia dovrebbero assicurare alcuni principi di trasparenza e di legalità. In democrazia il popolo deve pretendere che le imputazioni siano chiare, che le ipotesi di reato non siano formulate su teoremi ideologici o che risentano di inimicizie personali o di diversi sentimenti politici, ovvero che non vi siano atti di benevolenza per comunanza o affinità di pensiero.
Se, ad esempio, prendessimo in considerazione i due casi recenti che hanno interessato i protagonisti di due contrapposte fazioni politiche, si potrebbero rilevare almeno due contraddizioni. Una riguarda la mancanza di una trasparente azione giudiziaria, con regole uguali che valgano sempre e per tutti. L’altra l’azione dell’informazione e degli approfondimenti mediatici.
Si è avuta l’impressione d’essere dinanzi a due casi in cui i teoremi ideologici e l’inimicizia per un caso e di contro la comunanza e l’affinità di pensiero per l’altra, emergono. La Giustizia, invece, non può che avere una stessa bilancia.
"Spero che si possa creare un clima diverso, non strumentale – è scritto in un’intervista su Libero con il Sen. Gaetano Quagliariello - Non è
possibile che il ruolo della politica sia rispettato solo per la coscienza di alcuni magistrati: serve un sistema di regole che valga per tutti". Certo che se a Milano l’ipotesi di concussione è applicata senza un concusso, e a Bari per le pressioni sulle nomine non è ipotizzato un reato di concussione, potremmo consumare le lettere della tastiera senza uscire da questo pantano. La sanità pugliese è stata ridotta a un campo di battaglia per la conquista del voto. Controllo del territorio finalizzato al rafforzamento di partiti e fazioni, scrive il magistrato che ha chiesto l’arresto del senatore Tedesco, mentre l’altro magistrato, invece, archiviava la pratica Vendola. Intorno alla sanità pugliese si sono giocate partite e interessi diversi, fino ad ipotizzare che di per se l’assessorato alla Sanità costituisse un sottosistema per la gestione del potere. Un Presidente di Regione chiede al proprio assessore di modificare la legge per favorire la nomina di un suo segnalato ed è tutto normale, mentre in una vicina procura, quella pugliese di Trani, si voleva imputare il reato di concussione a Berlusconi per un suo sfogo telefonico contro Santoro.
In questa vicenda pugliese l’unica cosa apprezzabile è che non sia stata sceneggiata una fiction televisiva, come è accaduto invece con la questione di Ruby ad Annozero, ma senza poi chiederci il perché dei due pesi e delle due misure anche dell’informazione.
La democrazia, però, muore dinanzi all’incapacità di avere un equanime e serio sistema di regole. C’è il rischio che il popolo veda la Magistratura come uno strumento politico e, se ne comprende l’orrore, ne rimanga interdetto ed incominci a non credere più nella Giustizia e nella legalità. Il senatore Quagliariello ha così ragione nel chiedere un “sistema di regole che valga per tutti”.
Vito Schepisi