Sembra che a sinistra si stia predisponendo un’ulteriore sceneggiata e per la rappresentazione scenda in campo il cinefilo più noto della nostra repubblica. In Italia, per una sinistra che non decide, bloccata dalle forze estreme che vorrebbero lo stivale europeo fuori da tutto, dall’economia di mercato e dalla libera impresa, alla Nato e all’Europa, si avrebbe bisogno di uomini di carattere che sappiano assumere anche decisioni impopolari ma importanti. Uomini dal piglio deciso, meno inclini a compromessi, con le idee chiare già formate e non con l’idea di seguire il corso della voce più grossa.
La penisola ha bisogno di riforme, soprattutto nell’ambito di scelte di modelli di sviluppo, non ha invece bisogno di mediatori e pifferai e neanche di venditori di fumo. Nella sinistra ce ne sono già tanti! Non ha bisogno di concerti e giochi di luce, né di artisti di strada; non ha bisogno di beati ridanciani che si divertono mentre il popolo arranca e si indigna.
L’Italia non necessita di uomini che vivono da sempre di ostriche, champagne e politica, a dispetto del pane e cicoria di Rutelli. Ha bisogno di personale politico che nella vita si è rimboccato le maniche e che è abituato a lottare nel suo spazio di impegno nella società civile. I cittadini del “bel paese” vorrebbero liberarsi di coloro che hanno adottato la politica come mestiere facendone strumento di privilegi e successi personali, di agi e potere, per nepotismi e clientele. Non avrebbero, quindi bisogno di uomini come Veltroni, politico a tempo pieno prima del Pci, poi del Pds, ora dei Ds e domani del PD.
Veltroni è un riciclato. E’ stato Vice Presidente del Consiglio, con delega allo sport al cinema ed alla cultura, con Prodi nel suo primo governo nel 1996 e segretario dei DS fino al 2001, l’anno della sconfitta, per poi ritirarsi dopo il fallimento del primo Prodi e dei compagni D’Alema e Amato. Caduti nel 2001 i governi di centrosinistra sommersi dall’indignazione degli italiani per l’incoerenza, le bugie, l’inefficienza e le vessazione fiscale, Veltroni si è rifugiato comodamente all’ombra della lupa, nella città di Romolo e Remo, del ratto delle sabine, e dell’impero più vasto e famoso della storia: l’Impero Romano. Ha vinto le elezioni a sindaco per una manciata di voti sull’azzurro Tajani, e lui era Veltroni, già uomo di punta del Governo, uomo potente e segretario del partito più corposo della maggioranza di centrosinistra. Aveva detto di se che si ritirava dalla politica per dedicarsi alla denuncia delle condizioni dell’Africa nera. Era solo un ripiegamento, però. Una furbizia perché, come si sa, gli italiani dimenticano presto.
Da Roma sotto i riflettori della notorietà ha ricostruito la sua immagine, anche ignorando i problemi della città, tessendo una rete di compiacenze e facendosi investire dal dono dell’ubiquità. Come una volta per i sindaci democristiani delle città del sud, era dappertutto a tagliare nastri e svolgere stucchevoli compitini di buonismo verbale. Qualche viaggetto in Africa per parlare di miseria e dolore con il pietismo di colui che documenta le orrende realtà della terra, e perché si parli di lui come persona sensibile alle grida del mondo che soffre.
Nel 1988 entrò a far parte del comitato centrale del partito comunista italiano, nell’adolescenza era iscritto alla federazione giovanile comunista e nel 1976 consigliere comunale comunista a Roma, eppure dice di se di non essere mai stato comunista. Un ingrato compito quello degli ex comunisti obbligati persino a negare l’evidenza delle cose!
Non è stato ancora investito della funzione di leader del PD, non ha infatti sciolto la riserva, e già parte in trasferta a implementare la sua immagine di uomo sensibile verso chi soffre e si impegna a trasformare il dolore in virtù: è già sulla tomba di Don Milani con Franceschini, il capogruppo dell’ulivo alla Camera, dopo aver avvisato i giornalisti, per inviare il suo messaggio di impegno nel sociale.
E’ partita la macchina della (dis)informazione della sinistra. Sul nuovo soggetto politico si giocano le carte dei post marxisti che dismesso il Capitale di Marx, abbandonati gli steccati ideologici, fuori dai principi classisti su cui si è chiuso il ventesimo secolo, si apprestano ad affermare la laicità della funzione politica. Coniano allo scopo nuove definizioni del laicismo e ne inventano uno spazio tutto nuovo dove le origini e le culture si mischiano. Ed a Veltroni attribuiscono la capacità di rimescolare le diversità, di assecondare le idee con l’ambizione di trasformare in nuovi impulsi le certezze che erano di tanti, soprattutto per mascherare le sue di un passato non troppo lontano. Resta invece la consapevolezza che senza le scelte la politica non cammina. Senza scelte nulla si muove e si resta al palo di ogni appuntamento con la storia dei popoli. La filosofia spesso passa come un vento che ispira sensazioni, si ferma alle idee ed al pensiero, risponde alla sete di sapere e di definire i confini dell’etica. Ciò che rimane però è il percorso di un popolo: è la sua storia fatta di uomini e imprese.
La penisola ha bisogno di riforme, soprattutto nell’ambito di scelte di modelli di sviluppo, non ha invece bisogno di mediatori e pifferai e neanche di venditori di fumo. Nella sinistra ce ne sono già tanti! Non ha bisogno di concerti e giochi di luce, né di artisti di strada; non ha bisogno di beati ridanciani che si divertono mentre il popolo arranca e si indigna.
L’Italia non necessita di uomini che vivono da sempre di ostriche, champagne e politica, a dispetto del pane e cicoria di Rutelli. Ha bisogno di personale politico che nella vita si è rimboccato le maniche e che è abituato a lottare nel suo spazio di impegno nella società civile. I cittadini del “bel paese” vorrebbero liberarsi di coloro che hanno adottato la politica come mestiere facendone strumento di privilegi e successi personali, di agi e potere, per nepotismi e clientele. Non avrebbero, quindi bisogno di uomini come Veltroni, politico a tempo pieno prima del Pci, poi del Pds, ora dei Ds e domani del PD.
Veltroni è un riciclato. E’ stato Vice Presidente del Consiglio, con delega allo sport al cinema ed alla cultura, con Prodi nel suo primo governo nel 1996 e segretario dei DS fino al 2001, l’anno della sconfitta, per poi ritirarsi dopo il fallimento del primo Prodi e dei compagni D’Alema e Amato. Caduti nel 2001 i governi di centrosinistra sommersi dall’indignazione degli italiani per l’incoerenza, le bugie, l’inefficienza e le vessazione fiscale, Veltroni si è rifugiato comodamente all’ombra della lupa, nella città di Romolo e Remo, del ratto delle sabine, e dell’impero più vasto e famoso della storia: l’Impero Romano. Ha vinto le elezioni a sindaco per una manciata di voti sull’azzurro Tajani, e lui era Veltroni, già uomo di punta del Governo, uomo potente e segretario del partito più corposo della maggioranza di centrosinistra. Aveva detto di se che si ritirava dalla politica per dedicarsi alla denuncia delle condizioni dell’Africa nera. Era solo un ripiegamento, però. Una furbizia perché, come si sa, gli italiani dimenticano presto.
Da Roma sotto i riflettori della notorietà ha ricostruito la sua immagine, anche ignorando i problemi della città, tessendo una rete di compiacenze e facendosi investire dal dono dell’ubiquità. Come una volta per i sindaci democristiani delle città del sud, era dappertutto a tagliare nastri e svolgere stucchevoli compitini di buonismo verbale. Qualche viaggetto in Africa per parlare di miseria e dolore con il pietismo di colui che documenta le orrende realtà della terra, e perché si parli di lui come persona sensibile alle grida del mondo che soffre.
Nel 1988 entrò a far parte del comitato centrale del partito comunista italiano, nell’adolescenza era iscritto alla federazione giovanile comunista e nel 1976 consigliere comunale comunista a Roma, eppure dice di se di non essere mai stato comunista. Un ingrato compito quello degli ex comunisti obbligati persino a negare l’evidenza delle cose!
Non è stato ancora investito della funzione di leader del PD, non ha infatti sciolto la riserva, e già parte in trasferta a implementare la sua immagine di uomo sensibile verso chi soffre e si impegna a trasformare il dolore in virtù: è già sulla tomba di Don Milani con Franceschini, il capogruppo dell’ulivo alla Camera, dopo aver avvisato i giornalisti, per inviare il suo messaggio di impegno nel sociale.
E’ partita la macchina della (dis)informazione della sinistra. Sul nuovo soggetto politico si giocano le carte dei post marxisti che dismesso il Capitale di Marx, abbandonati gli steccati ideologici, fuori dai principi classisti su cui si è chiuso il ventesimo secolo, si apprestano ad affermare la laicità della funzione politica. Coniano allo scopo nuove definizioni del laicismo e ne inventano uno spazio tutto nuovo dove le origini e le culture si mischiano. Ed a Veltroni attribuiscono la capacità di rimescolare le diversità, di assecondare le idee con l’ambizione di trasformare in nuovi impulsi le certezze che erano di tanti, soprattutto per mascherare le sue di un passato non troppo lontano. Resta invece la consapevolezza che senza le scelte la politica non cammina. Senza scelte nulla si muove e si resta al palo di ogni appuntamento con la storia dei popoli. La filosofia spesso passa come un vento che ispira sensazioni, si ferma alle idee ed al pensiero, risponde alla sete di sapere e di definire i confini dell’etica. Ciò che rimane però è il percorso di un popolo: è la sua storia fatta di uomini e imprese.
E se Veltroni si scostasse dal metafisico per dirci ciò che non conosciamo di lui, a parte l’effimero?
Vito Schepisi