Non so se il ministro degli esteri D’Alema interpreti la linea politica della maggioranza di Governo sulla diaspora mediorientale. Certamente non interpreta il buon senso di coloro che considerano Israele un baluardo di democrazia nell’area mediorientale. Non interpreta, senza dubbio, il forte disagio del popolo italiano dinanzi al dilagare in modo sempre più arrogante della violenza, sia verbale che terroristica, di coloro che richiamandosi ai valori fondamentali della loro fede, mirano a sovvertire le conquiste civili acquisite da strati sempre più larghi di popolazione che si richiama ai valori occidentali. Tra l’essere partecipi di una fede che si rifaccia a valori etici di vita, che predichi il riscatto dello spirito in una vita non terrena, che richiami i popoli alla bontà, alla solidarietà ed al rispetto dei propri simili ed il voler imporre in modo imprescindibile i propri valori, tanto da tacciare i non partecipi d’infedeltà, e quindi meritevoli di soppressione fisica, ci passa un varco tanto enorme quanto tale, in aberrante deformazione etica, deve essere considerata la logica fondamentalista. Quando il nostro ministro degli esteri predica l’equivicinanza del nostro Paese alle parti in causa nell’area mediorientale, confondendo anche tra paesi e fazioni non riconosciute come entità di diritto, infligge alla nostra civiltà, alla nostra cultura ed alle nostre origini giudaico-cristiane un vulnus di portata storica. Quando per giunta il nostro Ministro degli Esteri, nei fatti, traduce l’equivicinanza in collateralismo con palestinesi e mondo islamico, senza se e senza ma, ed ancora con Hezbollah nella condanna di Israele, quasi quest’ultimo fosse responsabile di aggressione ingiustificata al Libano, questi infligge al nostro Paese una condanna internazionale di inaffidabilità e scarsa credibilità. L’Italia non è la Francia che ha la pretesa storica d’essere il centro dell’universo politico. In Francia la politica estera spesso è affidata alle scelte di collocazione autonoma, anche dall’Europa, che faccia emergere la sua unicità. Nella questione irachena, spesso, anche richiamandosi a spinte pacifiste, quando ben sappiamo quanto poco ispirate al pacifismo siano le politiche d’oltralpe, gli interessi economici della Francia, e dei suoi leaders, inducevano Saddam Hussein ad accrescere la sua arroganza, nella certezza di avere sulla sponda francese un baluardo capace di frenare l’intervento dell’ONU, come di fatto per largo tempo è stato. L’Italia è un Paese che non ha diritto di veto all’ONU, non gode nel mondo di credibilità diplomatica tale da poter giustificare politiche “creative”. L’Italia è un Paese che in altre avventure ha perso l’ultimo conflitto mondiale e che dopo la ricostruzione ed il recupero della sua capacità economica e produttiva, spinta dalle follie comuniste e sindacali, ha aperto alle politiche della spesa indiscriminata legando il Paese ad un debito pubblico di portata sudamericana. L’Italia, infine, è un Paese che ha fatto della sua instabilità di governo un marchio di origine pari al “made in Italy”. Solo la caduta del muro di Berlino ed il fallimento del comunismo hanno poi reso irreversibile la sua scelta europeista ed occidentale, fino ad allora resa anch’essa instabile per la presenza del più grosso partito comunista del mondo libero, partito in cui ha militato con ruolo di prima grandezza il nostro attuale Ministro degli Esteri. La pretesa di quest’ultimo di voler giocare un ruolo da protagonista tra Israele, Libano ed Hezbollah pone il nostro Paese ed i nostri militari dinanzi a rischi di incalcolabile portata. L’Italia che rifiuta la guerra, che si richiama all’art. 11 della nostra Costituzione; l’Italia che ha difficoltà a rifinanziare missioni di peacekeeping, intese come supporto alle politiche di ispirazione statunitense, si sbraca in uno dei luoghi tra i più pericolosi del mondo dove gli scenari di guerra sono vita quotidiana, dove caschi blu, addetti solo a funzioni di osservatori, ci hanno lasciato la vita a centinaia negli ultimi anni. Inviati dall’Onu per porsi al di là del confine nord di Israele, nel sud del Libano, a garantire i confini tra i due Paesi dalla presenza di guerriglieri e terroristi e per assistere al disarmo dei miliziani Hezbollah (Il Partito di Dio) gli osservatori della forza multinazionale ONU si sono spesso trovati tra i due fuochi e sono stati persino utilizzati come scudi per frenare la reazione di Israele ai raid terroristici dei miliziani Hezbollah. Quanto sia stata rispettata la risoluzione ONU 1559 del 2004 è ben noto anche se il nostro Ministro degli esteri, attento a dirsi equivicino, sembra ignorarlo tanto da considerare eccessiva la reazione israeliana agli atti di guerra Hezbollah ed al lancio quotidiano di centinaia di missili dai territori al sud del libano sui centri abitati israeliani. Quel territorio che, tra l'indifferenza di fatto degli osservatori dell’ONU veniva fortificato e ben armato da Siria ed Iran. Il nostro Ministro degli Esteri, inoltre, si guarda anche bene, sempre per la sua equivicinanza, dal deplorare i comportamenti di Iran e Siria, veri responsabili dell’escalation dell’ultimo conflitto ed ormai artefici di una guerra per interposta persona e su territorio di un altro stato. Non abbiamo sentito il nostro equivicino esprimersi neanche sulle dichiarazioni del leader iraniano sull’annientamento e la cancellazione dalla cartina geografica di Israele e neanche sulle dichiarazioni di Nasrallah leader del Partito di Dio che gli faceva da eco. Il nostro, invece, teneva a farsi riprendere mentre passeggiava molto “equivicino” circondato da leaders Hezbollah ed a braccetto con un loro esponente del parlamento libanese a Beirut, nella zona controllata da Hezbollah, tra le rovine dei palazzi bombardati da Israele.Al momento non sono chiare almeno due cose: oltre ai tremila soldati impegnati dall’Italia da dove verranno gli altri 12.000 richiesti? Posto poi che la risoluzione ONU 1559 non è stata dichiarata decaduta, anzi costituisce la premessa per la nuova risoluzione, chi avrà il compito di disarmare Hezbollah?
Sembra che il grande sforzo diplomatico di Prodi e di D’Alema non sortisca effetti di adesione alla forza multinazionale e che ancora si stia riaprendo la questione delle regole di ingaggio. Sembra che negli Usa qualcuno si stia chiedendo chi disarmerà Hezbollah. Negli Usa, infatti, sono certi che non potrà essere l’Italia ad imporre il disarmo, priva com’è della forza politica per poterlo fare. Anche l’idea di affidare il comando della missione all’Italia sembra che trovi più di un ragionevole ostacolo: nessuno sembra fidarsi di una politica estera “equivicina”. Prodi, da fantoccio di paglia qual è, si sta facendo trascinare su di un percorso molto tortuoso ed irto di pericoli e, se privo di obiettivi precisi e condivisi, pericolosamente senza ragionevole ritorno.
Sembra che il grande sforzo diplomatico di Prodi e di D’Alema non sortisca effetti di adesione alla forza multinazionale e che ancora si stia riaprendo la questione delle regole di ingaggio. Sembra che negli Usa qualcuno si stia chiedendo chi disarmerà Hezbollah. Negli Usa, infatti, sono certi che non potrà essere l’Italia ad imporre il disarmo, priva com’è della forza politica per poterlo fare. Anche l’idea di affidare il comando della missione all’Italia sembra che trovi più di un ragionevole ostacolo: nessuno sembra fidarsi di una politica estera “equivicina”. Prodi, da fantoccio di paglia qual è, si sta facendo trascinare su di un percorso molto tortuoso ed irto di pericoli e, se privo di obiettivi precisi e condivisi, pericolosamente senza ragionevole ritorno.
Vito Schepisi