21 maggio 2015

Senza speranze

Ai burocrati europei interessa solo un'Italia che si piega

In questi anni sono aumentate tantissimo le tasse locali e di pari passo sono diminuiti i trasferimenti dello Stato alle amministrazioni del Territorio. Il risultato è stato che i servizi sono diventati più scadenti, o tagliati del tutto, e lo Stato come o più di prima non garantisce nulla di efficiente: né lavoro, né sicurezza, né servizi, né coperture previdenziali ai lavoratori in quiescenza.
Da questa mannaia pubblica che si abbatte sulla testa dei più deboli (lavoratori, pensionati, commercianti e piccole imprese) si tirano fuori solo le caste che non pagano mai (magistrati, politici, burocrati, manager pubblici e tutto quell'esercito di figli, nipoti, amichette e amici inseriti (dire che lavorano sarebbe dir troppo) nei carrozzoni degli enti pubblici e delle Istituzioni.
Tutto ciò che incassa lo Stato sembra che vada a finire in un buco nero senza fondo da cui esce solo un nauseabondo puzzo di corruzione e di sperperi.
In queste condizioni aumentano tutti i fattori negativi legati all’economia e alla finanza. Il debito pubblico sale. La disoccupazione crea disagio sociale. La pressione fiscale scoraggia l’iniziativa.
Una volta c'era l'avanzo primario, ora neanche più quello.
E dire che l’Italia, grazie ai vari interventi delle BCE sul costo del denaro e soprattutto grazie all’alleggerimento quantitativo (Quantitative Easing) di Draghi, può giovarsi di una fase finanziaria positiva per il costo basissimo degli interessi sul debito pubblico ma, con la spesa pubblica che aumenta, anche questi vantaggi finanziari servono a poco.
Con le politiche correnti non ne usciremo mai per due ragioni:
1) l'aumento della pressione fiscale drena risorse che altrimenti impiegate favorirebbero l'aumento dei consumi e quindi della domanda interna, trasformandosi in maggior produzione, in investimenti e quindi in occupazione. Gli investimenti, la produzione e l'occupazione consentirebbero, infatti, allo Stato di incassare più tasse senza il ricorso al maggior prelievo fiscale sui contribuenti. A parità di gettito si potrebbero ottenere maggior occupazione e meno carico fiscale, quindi minori disagi e meno spesa sociale.
Bisognerebbe, però, capirlo e forse soprattutto volerlo. Oggi, al contrario, prevale più l’idea punitiva della ricchezza che la lotta al bisogno. Viene in mente l’aforisma di Montanelli: “i comunisti amano così tanto i poveri, che quando vanno al governo li aumentano”;
2) è evidente che la spesa pubblica in Italia sia eccessiva e mal riposta.  Mentre si parla, ad esempio, di perequazione al costo della vita per i pensionati da 3 volte in su il minimo sociale, c'è chi percepisce o percepirà pensioni che non hanno nessun rapporto con i contributi versati. C'è chi percepisce 2 o 3 o 4 assegni di quiescenza come se la sua vita abbia avuto 2 o 3 o 4 interi cicli di lavoro. Ci sono manager, dirigenti, burocrati e membri delle Istituzioni che percepiscono in un mese quanto un professore di scuola in 3 anni. E poi ci sono i costi di gestione dei ministeri, degli uffici pubblici, degli enti, ci sono le manutenzioni, gli appalti, le forniture, i consumi. Ci sono i lavori pubblici in cui assistiamo a filiere intere di taglieggiamenti e di “mance” a spese della collettività.
Si vuole parlare anche di chi percepisce uno stipendio senza prestare alcun servizio utile? Ma se parlassimo di tutto, non basterebbero i forestali della Regione Siciliana per trarci fuori dalla giungla di fitta vegetazione che si andrebbe ad intrecciare.
Servirebbe prendere atto che l’Italia così non ha speranze. Se si potesse si dovrebbe ricominciare tutto da capo. Non è, però, possibile e stando così le cose, con questa Italia, senza una classe dirigente con le idee chiare, con questo governo, con questa opposizione e con questi italiani non abbiamo speranze.
Vito Schepisi
su EPolis Bari del 21 maggio 2015