28 settembre 2012

Non si può fare la "guerra" politica con la giustizia



Circola la notizia che si vorrebbe far ricorso a provvedimenti straordinari, come l'indulto e l'amnistia, per salvare dal carcere Sallusti.
Sembrerebbe che sia questa l’idea del Quirinale con l’obiettivo di servirsi del caso Sallusti anche per svuotare le carceri.
Non sarei pregiudizialmente contrario all'indulto e all'amnistia. Sarebbe da evitare che la clemenza arrivi ai rei di tutti i reati contro le persone e quelli di grave pericolosità sociale.
Il provvedimento andrebbe messo a punto da uomini civili, e intendo da persone civili, perché anche Sallusti è stato dichiarato socialmente pericoloso, ed è evidente che questa è stata una cosa incivile.
Pensare, però, di giocare sulla pelle di Sallusti, per far passare questo provvedimento sarebbe inaccettabile.
Se si ha la credibilità politica ed istituzionale per fare accettare al Paese il provvedimento di amnistia e di indulto, lo si faccia.
Le motivazioni ci sono e sono anche certo che, se spiegate bene, gli italiani saprebbero comprenderle.
Se spiegate bene!
Perché agli italiani si deve spiegare lo stato comatoso della giustizia italiana.
I tribunali, infatti, sono affogati di procedimenti che finiranno inevitabilmente in prescrizione e che assorbono risorse economiche, inutilmente e senza effetti pratici.
Ci sono magistrati che si esercitano a impiantare teoremi che finiscono inevitabilmente per diventare campagne di cronaca giudiziaria di grande effetto, con palate di fango, ma privi di assoluta consistenza giuridica.
Le carceri, inoltre, contengono quasi il 50% in più di detenuti rispetto alla loro capienza.
Tra i carcerati, ancora, ci sono tantissimi in attesa di giudizio e questa è anche una barbarie.
Sallusti, però, ha il diritto di chiedere che gli sia comminata tutt’al più una sanzione amministrativa, per un presunto omesso controllo, ma solo per la parziale veridicità della notizia, non per l’opinione espressa da Deyfrus-Farina.
La condanna penale, però, deve essere cancellata, per manifesta ingiustizia e per esagerata astiosità nei suoi confronti.
Ora come si possa arrivare a rendere giustizia a Sallusti sono fatti di chi ci ha portato in queste condizioni. Se non saranno capaci di trovare la strada, si potrebbero dimettere, come tutti coloro che fanno qualcosa di irreparabile.
Pensare che una persona innocente, onesta, civile vada in galera nell’indifferenza e nell’irresponsabilità, sarebbe un assurdo. Non si può, invece, cancellare l'offesa alla civiltà e la discriminazione politica e intellettuale con un provvedimento di riduzione della pena o di un perdono.
Scherziamo?
Sallusti non ha commesso nessun reato, eppure un Tribunale, una Corte di Appello e la Corte di Cassazione gli hanno comminato 14 mesi di carcere da scontarsi in cella, senza condizionale e senza attenuanti.
E’ pazzesco! Non esiste! Dimissioni!!! Il CSM che ci sta a fare?
Se Sallusti finisse in cella, vorrebbe dire che questa Italia sarebbe irrecuperabile alla democrazia e alla civiltà. Sarebbe molto pericoloso che accadesse. Abbiamo già avuto il fascismo, ora non ci vogliamo svegliare in un altro regime. Perché di questo passo i margini per la democrazia non ce ne sarebbero più.
Come si potrebbe, se non ci fidassimo più della giustizia?
Su queste cose non si può giocare.
Il messaggio da trasmettere al Paese deve essere chiaro. Si deve cambiare registro. La Giustizia deve essere una cosa seria e deve funzionare con serietà e rigore, ma civilmente
Non si può fare la "guerra" politica con la Giustizia.
Vito Schepisi
 

27 settembre 2012

Una casa circondariale a cielo aperto



L’Italia si sta trasformando in una casa circondariale a cielo aperto. E’ una via di mezzo tra il carcere e una discarica pubblica.
Nella casa circondariale con le sbarre virtuali, tutt’attorno, vivono a piede libero i cittadini con i loro problemi quotidiani che non interessano a nessuno. Alcuni hanno timore persino a parlarne. Aleggia, infatti, la possibile accusa di disfattismo.
Oggi sono finiti i colpi di testa, le manifestazioni, i cortei. Non ci vuole più di tanto per trovarsi nei guai. La libertà di parola è garantita dalla Costituzione, all’art. 21, ma come ogni libertà ha i suoi costi. L’ha detto il Presidente del Consiglio Bersani e l’ha confermato l’ex Presidente della Repubblica Napolitano. Perché non crederci?
L’attuale Capo dello Stato Romano Prodi ha anche detto qualcosa a riguardo, ma nessuno l’ha capito. E’ stato chiesto a Sircana di fare la traduzione, ma questi, impegnato per strada, nelle periferie, sta ancora consultando il Bignami, ma non trova niente di simile.
I cittadini così non sono più liberi di esprimersi, sono costretti a subire, sono privati dei loro diritti, vessati dallo Stato con imposte e gabelle e sono alla mercé di una classe dirigente burocratico-politica che stabilisce tutto per loro. Stabilisce che cosa mangiare, che film vedere, che giornale leggere, quali canali tv sono da considerare corretti, se andare in vacanza e dove, persino quali opinioni si possano esprimere. Hanno persino chiesto ad un pool di scienziati di studiare per la realizzazione della macchina del pensiero. In Italia si precorre il futuro e si coltiva la ricerca scientifica.
Lo Stato stabilisce anche quali aziende devono produrre e quali no, chi può andare in pensione mentre è ancora in vita e chi, invece, per non incidere sulla spesa è meglio che ci lasci prima le penne.
Gli abitanti vivono intimiditi dai poteri, sono spiati, con i telefoni sotto controllo. La legge sulle intercettazioni è passata in Parlamento. Hanno stabilito, come suggerito da Fini, che sia nella discrezione del giudice intercettare chi vogliono, senza dar conto a nessuno. 
“L’autonomia dei magistrati è una cosa seria. O c’è o non c’è e se c’è deve essere rispettata.” E’ un pensiero profondo. Non è mio. L’ha espresso il nuovo ministro della Giustizia, con interim agli Interni, Antonio Di Pietro. 
Grillo è in galera da tempo, come Sallusti (gli hanno prorogato di 48 mesi il soggiorno in galera, come se fosse un mutuo) e Ferrara. Feltri è in clinica psichiatrica dopo che gli è venuto lo schiribizzo di capire dove sono finiti i duemila miliardi di debito dello Stato.
Da qualche tempo si è istituito per legge anche il conta scopate. E’ un “cip” inserito nei genitali per conteggiare la frequenza dell’attività sessuale dei cittadini. Questa è la versione ufficiale delle motivazioni del Governo. In privato, però, circolano sussurri non si sa quanto fantasiosi. Le voci sostengono che serva alla tracciabilità delle scopate, come avviene per il denaro che è stato abolito e sostituito con le carte di credito ed il pago bancomat. Passera e gli amici banchieri gongolano. Tanto per loro si è istituito un nuovo Corpo dello Stato. Il Corpo Finanziario. Hanno l’immunità: possono scopare e trafficare alla grande.
Di certo sono diminuite di molto le corna, per paura di essere tracciati e perché senza denaro a nero è diventato difficile mantenere le amanti.
In seria difficoltà sono le donne che devono prestare attenzione a mantenersi distanti dalle residenze dell’ex Premier Berlusconi. Tutte quelle, infatti, che capitano nel suo raggio di azione sono fermate e interrogate perché si ha il sospetto che Berlusconi si sia procurato all’estero un congegno per falsificare la conta. E’ lo stesso che hanno utilizzato gli amici di Prodi nel 2006 per ribaltare i risultati elettorali che li vedevano perdenti, ma che poi hanno vinto per 24 mila voti.
Si sta organizzando un comitato femminile di protesta “Se non la do ora non la darò mai più” capeggiata da Nicole Minetti. Ci sono già alcuni arresti fra le attiviste più combattive, mentre l’eroina Nicole si è data alla clandestinità. La polizia sta fermando, per l’identificazione, tutte le donne con le tette fuori misura. Figurarsi che la polizia è così pignola e le maglie così strette che hanno fermato anche la rosibindi. 
In questi giorni, il Parlamento, dopo la recente sentenza della Consulta, che ha giudicato la legge conta scopate lesiva della libertà sessuale dei praticanti il “sesso corretto”, su proposta del deputato Vendola, ne sta discutendo la modifica. La nuova formulazione escluderebbe (si usa il condizionale perché nel testo è comparsa, per caso, una postilla per tener fuori dal controllo anche la pedofilia ed è in alto mare) dall’obbligo della conta tutto il mondo alternativo, cioè quello definito sessualmente corretto, come stabilito dalla recente riformulazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione Italiana. L’obbligo previsto dalla legge, infatti, è stato ritenuto lesivo della libertà privata, art. 13 della Costituzione, e in conflitto con la legge Concia-Vendola-Grillini sull’omofobia. 
In Italia è cambiato tutto. Dicono che è in atto la rivoluzione liberale, per liberare l’Italia da chi si mette di traverso e dà fastidio.
Come tutte le rivoluzioni, il processo è lungo e la strada è piena di insidie e di ostacoli. Qualche problema lo sta creando Giuliano Ferrara. La cella assegnata gli sta stretta ed ha problemi ad entrare nel vano adibito a bagno. Non ci passa e non si trova un vasino alternativo.
I funzionari pubblici italiani, però, rappresentano l’eccellenza del Paese. Il direttore del carcere ha già trovato la soluzione: Ferrara dovrà mettersi a dieta.
Il problema è tutto qui! Come abbiamo fatto a non capirlo da subito?
Vito Schepisi

In Italia c'è libertà di opinione?


Il PG della Cassazione ha chiesto per Sallusti l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Milano dello scorso giugno "limitatamente alla mancata valutazione della concessione delle attenuanti generiche". 
La Corte di Cassazione, però, non ha accolto neanche la richiesta della sua Procura e la condanna a 14 mesi per Sallusti, senza condizionale, resta confermata. E’ il carcere: niente di più e niente di meno. 
Nientedimeno! 
Tra la magistratura e il popolo italiano non c’è grande intesa: è come un dialogo tra sordi. Siamo in democrazia, siamo in Europa, abbiamo consuetudini con altri paesi liberi e democratici. Sottoscriviamo trattati internazionali sui diritti degli uomini. E l’Italia è agli ultimi posti nel mondo nella classifica della giustizia resa ai cittadini.
Nell’opinione pubblica c’è così l’impressione che si corra dietro a scelte ideologiche, addirittura alla difesa di spazi politici, più che pensare a rendere vivibili le nostre città e a far prevalere la Giustizia sugli abusi, sugli arroganti, sui furbi, sulla corruzione, sulla criminalità. 
La democrazia è la facoltà di poter esprimere le proprie opinioni liberamente. 
Nel corsivo attribuito a Sallusti c’era un’opinione. Niente altro. Solo un’opinione: “Qui ora esagero. Ma prima domani di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice”. 
Un’opinione forte perché a una bambina di 13 anni è stato praticato l'aborto, con il consenso di genitori, del giudice e del ginecologo, causando così gravi disturbi al suo equilibrio psichico da dover essere ricoverata in clinica psichiatrica. Nessuna opinione, motivata da un fatto di cronaca grave, può essere un reato, sebbene quella attribuita a Sallusti, ma scritta da un altro sia molto dura. 
Sarebbe stata diffamazione se avesse scritto che una delle tre parti non conosceva la propria professione e/o il proprio ruolo e quindi per questo colpevole. Ma il corsivo era rivolto al ricorso all’aborto su una bambina di 13 anni. Ora che si condivida o meno questa opinione, resta un'opinione e, come tale, legittima tra le altre. Legittima come potrebbe essere l’affermazione contraria di chi, ad esempio, avesse scritto che, nonostante la bambina sia rimasta talmente scossa da dover far ricorso alle cure psichiatriche, il medico, il giudice e i genitori siano meritevoli di elogi. 
Leggendo, poi, ciò che ha scritto Sallusti, e cioè che la parte querelante ha già ricevuto 30.000 euro a titolo di riparazione, ma che i suoi legali ne avevano pretesi altri 30.000 per ritirare la querela, non si può fare a meno di avvertire lo stridore fastidioso tra una questione di valori economici e quelli della libertà di un uomo. 
In tema di opinioni, non si può fare a meno di pensare che un magistrato, vittima di presunte diffamazioni, per etica professionale, non debba mai chiedere riparazioni in denaro e che debbano essere piuttosto i codici a comminare, invece che pene detentive, graduali e proporzionate sanzioni in danaro. 
La richiesta del PG della Cassazione d’annullare la sentenza limitatamente alla concessione delle attenuanti, ci fa pensare. Col negarle, com’è stato fatto a giugno, “a causa della sua pericolosità e perché se lasciato a piede libero potrebbe commettere altri reati” si è dato un pessimo segnale. La sentenza andrebbe spiegata e capita ove ci fosse una logica. 
E’ stata negata la condizionale a un direttore di una testata a diffusione nazionale, una delle pochissime testate non di sinistra, per giunta incensurato, ritenuto pericoloso perché poteva reiterare il reato. Sembra un’enormità. E’ un’enormità. 
La questione non può finire con il tentativo di trovare una pezza per non far finire in galera Sallusti, perché la miccia è stata innescata. E’ la condanna al carcere che non si può accettare, e la mancata concessione della condizionale finisce solo col rafforzare l’orrore per la presenza di un sistema che mette il bavaglio alle opinioni. 
La soluzione salomonica, cioè la condanna con la condizionale, sarebbe apparsa come un monito: caro Sallusti, hai messo la giustizia con le spalle al muro e noi per non rischiare il ridicolo questa volta ti salviamo dal carcere, ma non farlo più. 
La questione, invece, è da incardinare nella lotta liberale per la libertà di opinione, contro l’emergere del pensiero autoritario volto all’intimidazione verso ciò che ostacola il pensiero unico ritenuto il solo “politicamente corretto”. 
In Italia c'è libertà di opinione? 
Ora chi ci deve rispondere a questa domanda? 
Vito Schepisi

25 settembre 2012

Fuori tutto, fuori tutti



L'ipocrisia della politica richiede capri espiatori ... meglio se del campo avverso!
In tutta Italia, i casi di abusi della politica, di storie pessime di malcostume, di fatti incresciosi e persino di comportamenti cinici e rozzi - si pensi al ricatto sessuale in Puglia ad una giovane mamma bisognosa di lavorare - coinvolgono tutte le formazioni politiche, nessuna esclusa.
Perché non sono state chieste le dimissioni di Vendola in pieno scandalo sanitario in Puglia?
Eppure i pugliesi stanno continuando a pagare per rifondere i debiti rivenienti da sperperi, abusi, interessi privati, acquisti ed impianti di protesi inutili, malasanità, ramificazioni clientelari, nomine ed appalti finalizzati al radicamento politico sul territorio di partiti e uomini.
Si preferisce però mettere la lente d’ingrandimento su qualche rubagalline e sul sistema della spesa laziale che è uguale in tutto lo stivale, solo perché il governatore laziale è ... del campo avverso.
Va bene così, però!
Ha fatto bene la Polverini a prendere atto di ciò che è accaduto e a denunciare l'ipocrisia di PD, IDV e SEL e di tutta la classe politica.
Ora però si dimettano anche il Presidente della regione pugliese e il Presidente dell'Emilia e Romagna, indagati.
Ora però si dia uno sguardo al sistema della spesa di tutte le regioni italiane.
Ora però s’istituiscano a livello nazionale delle regole di spesa che debbano valere per tutti (consulenze, funzionamento dei gruppi, stipendi, vitalizi, spese istituzionali, sponsorizzazioni, acquisti di beni e di servizi, auto di rappresentanza, rimborsi spese, benefit, etc.etc.).
FUORI GLI IPOCRITI!
Qualche anno fa in Puglia per tre notti bianche, ad esempio, sono stati spesi 6 milioni di Euro.
In Puglia si finanziano festival che non servono a niente e si producono film che servono a meno.
Si dice che in Puglia alimentino il turismo, ma non è vero. Non hanno prodotto una presenza in più e quest'anno il turismo pugliese ha avuto una preoccupante flessione.
Servono ad altro! Magari ad elargire soldi ad amici,  questuanti e clientele.
E, dato che stiamo in Puglia, dappertutto si è indagato sui rapporti mafia-politica che si intrecciano sull’eolico e sul fotovoltaico, ma in Puglia, riempita di pale e di silicio, nessuno indaga?
In Emilia e Romagna c'è una questione che riguarda soldi pubblici dati ad una cooperativa il cui amministratore è il fratello del Governatore Errani.
Perché il Governatore non si dimette?
Si dovrebbe aprire una finestra sulle troppe stranezze nei rapporti tra cooperative e politica in quella Regione.
Perché non lo si fa?
Perché nessuno interviene per applicare lo stesso regime fiscale dell’impresa privata a quelle cooperative che agiscono nel campo della produzione e del commercio in diretta concorrenza con il sistema privato?
E’ tempo di far piazza pulita.
Deve venir fuori tutto e devono andare fuori tutti.
Vogliamo sapere di Penati e della Serravalle, ad esempio. Sono 180 milioni di Euro che sono stati spesi in più per le azioni di quella società comprate dalla Provincia di Milano.
Centottantamilioni di euro valgono 180 e più Fiorito.
Vogliamo anche sapere, in tema di trasparenza, anche degli amici di Dalemax che spuntano in ogni scandalo.
Fuori tutto, dunque, e fuori tutti!
Vito Schepisi

23 settembre 2012

La condanna politico-giudiziaria delle opinioni



Il Presidente Napolitano fa sapere che sta seguendo la questione del pericolo di arresto del Direttore del Giornale.
Sallusti rischia il carcere perché il suo giornale, al tempo il quotidiano Libero, con un corsivo a firma Dreyfus, aveva criticato duramente un giudice tutelare.
Questi con un suo provvedimento aveva, infatti, consentito il ricorso all'aborto per una bambina di tredici anni. Dopo l’intervento, la minore, scossa per il trauma subito, era stata ricoverata in clinica psichiatrica.
Il corsivista, che sembra non sia neanche Sallusti, aveva così scritto su Libero la frase incriminata: "se ci fosse la pena di morte e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice”.
I fatti sono del 2007 e siamo già alla pronuncia in Cassazione. Solo 5 anni, e sono stati esauriti tutti i tre gradi del processo penale, quando per un diritto del semplice cittadino passano decenni. Misteri della Giustizia italiana!
In primo grado, il Tribunale aveva condannato Sallusti a una sanzione di 5.000 Euro, non soddisfatti i PM di Milano, ricorrevano, però, in appello. E qua accade ciò che suscita perplessità, anzi sbigottimento.
In Appello, Sallusti passa dalla sanzione di 5.000 Euro ad una condanna a 14 mesi di carcere, senza condizionale “a causa - si legge nella sentenza - della sua pericolosità e perché se lasciato a piede libero potrebbe commettere altri reati”.

Questi sono in sintesi i fatti, e pensiamo che Sallusti, salvo rigurgiti di ulteriore follia, non andrà in carcere. Sarebbe un autogol della magistratura e la definitiva dimostrazione che in Italia i diritti fondamentali della persona sono compromessi e che l'autoritarismo giudiziario costituisce un grosso pericolo per l'agibilità del pensiero e dell'informazione. E sarebbe, ancora, l'accertamento definitivo della politicizzazione di una parte della magistratura e dell'aggressione politico-giudiziaria verso la stampa libera e non allineata.
Tutto pertanto si sgonfierà. Perché non conviene alla magistratura, alle istituzioni, alla politica. Lo speriamo vivamente per Sallusti.
Il Quirinale, le forze politiche, il Parlamento, la stampa con il sindacato e con l'Ordine si attribuiranno tutti insieme il merito. Invece sono tutti colpevoli in ugual misura. Tutti complici e responsabili della deriva autoritaria del Paese.
TUTTI IN ATTESA DI CONDANNA DELLA STORIA
Ma può finire così?
Nessuno dovrà spiegarci come mai il Tribunale di Milano ha emesso una condanna così grave, con l'aggravante di motivazioni così pesanti e così prive di tolleranza per il pluralismo delle opinioni e per la manifestazione delle idee?
Quale logica l’ha sospinta ad un provvedimento così grave e così manifestamente illiberale che, salvo qualche inghippo che la Cassazione dovrà trovare nella sentenza di Appello o salvo qualche provvedimento legislativo decretato all’ultimo momento, porterebbe in carcere un giornalista solo perché Direttore di una testata in cui un corsivista anonimo ha espresso un’opinione?
C’è una legge e la si deve applicare! Ammettiamo che sia così, e ammettiamo che in Italia tutte le leggi siano applicate, ma come si spiega la durezza della sentenza e come si spiega la negazione della condizionale e le sue motivazioni?
E' sufficiente, poi, che il Parlamento modifichi le leggi sulla libertà di stampa?
E se fosse un libero cittadino a manifestare idee diverse da quelle, invece, cantate nel coro del “politicamente corretto”?
Ciò che dovrebbe preoccupare tutti è la condanna politico-giudiziaria delle opinioni.
Vito Schepisi

17 settembre 2012

Rien ne va plus



La spesa pubblica è arrivata al 60% del Pil. Il Pil come sappiamo è l'intero fatturato italiano.
Per capirci meglio bisogna pensare che se in questo momento comprassimo un chilo di pane, pagando 3 euro, nello stesso momento, in termini teorici, ma con effetti pratici, lo Stato spenderebbe 1,80 Euro.
Vale a dire, ancora, che tutto ciò che si fattura in Italia, compresi i salari, trova una spesa corrispondente per 3 quinti di costi pubblici.
E parliamo sempre di costi primari, cioè non teniamo conto dei costi degli interessi sul debito che al momento s’attestano sugli 80 miliardi di euro l'anno.
Questo concetto deve essere chiaro, se si vuole capire cosa ci troveremo dinanzi dopo le elezioni politiche di primavera.
Il rapporto spesa pubblica/Pil è insostenibile e, infatti, l'Italia non riesce a bloccare la dinamica del debito sovrano.
Il debito per suo conto è insostenibile perché ci espone ai venti della speculazione. A giugno di quest'anno, nonostante la cura da cavallo di Monti, ha raggiunto il record di 1.972, 900 miliardi di euro. Non si può pensare di continuare così. Bisogna bloccarlo. Per bloccare il formarsi del nuovo debito sono note solo due strade: 1) abbassare le spese; 2) aumentare le entrate. Non se ne conoscono altre, tutt’al più la combinazione tra le due azioni. La terza, invece, sarebbe il fallimento.
Spero che tutto questo sia chiaro. E spero che sia chiaro che nonostante il recupero record del 2011 dell'evasione fiscale il debito sia aumentato ugualmente. Così si risponde in anticipo ai molti imbecilli che dicono di avere, beati loro, la soluzione in tasca.
Spiegare perché, a volte, se si spreme il contribuente e si contesta il sommerso, si finisce col contrarre le entrate fiscali, anziché aumentarle, può apparire complesso, ma non è così. Facciamo un esempio. Se una piccola impresa riuscisse a sopravvivere e a pagare i salari alle maestranze, lavorando nel sommerso - nel mezzogiorno ci sono migliaia di piccole imprese che lo fanno - creerebbe ricchezza e metterebbe in circolazione risorse per i consumi. Se chiudesse, invece, creerebbe disoccupazione e bisogno sociale, e sottrarrebbe risorse alla domanda.
Il saldo tra le due cose è positivo nella prima ipotesi ma negativo nella seconda. E' per questa ragione che l'alta pressione fiscale crea povertà al Paese e finisce col criminalizzare i piccoli lavoratori autonomi che dinanzi alla scelta tra sopravvivere o capitolare scelgono la prima.
Da questo ragionamento, per concretezza, proviamo a trarre delle conclusioni.
In primavera si vota. C'è chi è incazzato e a votare non ci andrà. C'è chi è anche lui incazzato e, per protesta, andrà a votare i comici che s’improvvisano politici - sarebbe come se, per curare un dente, si andasse dal ciabattino - c'è, invece, chi andrà a votare e farà le sue scelte.
Dico subito che sono contro la protesta sterile. Il voto è un diritto, ma anche un dovere. La democrazia si forma attraverso il consenso e, se la politica per alcuni è diventata un espediente per vivere bene alle spalle di altri, la colpa è anche di chi non sa fare le scelte.
Le scelte!
Destra, sinistra, centro, francamente, sono tutte sciocchezze. Gli imbecilli e le persone per bene ci sono dappertutto. Non c’è il partito degli onesti o quello dei disonesti. E spesso quelli che si dicono onesti si organizzano per il consenso in modo “mafioso”, ma questa sarebbe già un’altra storia! Le etichette sono arnesi della vecchia politica e servono per alimentare le polemiche, distraendo i cittadini dalle scelte da cui dipendono la nostra vita quotidiana e il futuro delle giovani generazioni: ciò che la partitocrazia, per il proprio vantaggio, sta distruggendo.
E’ da premettere che tutto si può dire, anche garantire un salario a tutti, dare una casa a chi non l'ha, ed anche far sposare Vendola con il suo amichetto. Le parole non costano!
La scelta fondamentale da fare, però, è tra il tagliare la spesa o aumentare le entrate (tasse), perché è necessario scegliere ciò che ci serve per essere liberi di realizzare ciò che vogliamo.
A tal fine, il quadro è più chiaro di quanto non si pensi. Possiamo dire che i due schieramenti, anche se divisi all’interno, sono perfettamente rappresentativi di queste due strade.
Quella, infatti, che si definisce sinistra, centrosinistra, movimenti di protesta o partito delle manette (Grillo e Di Pietro) prevalentemente va verso la strada dell’aumento delle entrate (le tasse), per sostenere la spesa.
Quella che si definisce destra, centrodestra e altri movimenti nascenti (Giannino e Montezemolo) punta invece a contenere la spesa e ridurre le tasse.
Quando si ragiona, si capisce cosa serve all’Italia, altrimenti, se si vota per istinto e pregiudizio, è un po’ come andare a puntare al casinò.
Fate il vostro gioco! Rien ne va plus!
Vito Schepisi