14 maggio 2012

Punta Perotti e la distruzione della ricchezza


Esultare perché il Comune di Bari non deve nulla per la vicenda di “Punta Perotti”, non deve ritenersi eccessivo, se a farlo è il Sindaco di Bari Michele Emiliano.
E’ un modo con cui il personaggio, da sempre, esorcizza le sue responsabilità. E’ un suo tipico atteggiamento. Il Sindaco “pro tempore” di Bari, infatti, non sbaglia mai. E quando sembra che abbia sbagliato, è lì a rivoltare la frittata, arrivando persino a far credere d’essere un ingenuo, un “fesso”, come ha confessato in una conferenza stampa per la questione degli appalti di opere pubbliche del Comune di Bari.
Poco importa al primo cittadino del capoluogo pugliese, se da questa vicenda di Punta Perotti è emerso un danno arrecato a privati e se la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito, con sentenza definitiva, che la colpa sia dello Stato Italiano, solo perché la “giustizia” agisce in nome del popolo italiano, e non di un ente locale. Poco importa a Emiliano se a pagare sarà lo Stato, cioè i contribuenti italiani.
E’ piuttosto singolare, ma a Bari, a Palazzo di Città, si esulta anche per questo.
A Bari tutti lo ricordano con piglio vittorioso e visibilmente soddisfatto per l’abbattimento dell’ecomostro o della saracinesca di Bari, come sono stati definiti i palazzi abbattuti di Punta Perotti. Lo ricordano assieme a Vendola, anche lui esultante, mentre rilanciavano tra loro, in simbiosi, dichiarazioni intrise di retorica populista e strumentale.
Emiliano non stava nella pelle quando in forza di una sentenza penale di costruzione abusiva - con tutti gli imputati assolti - la cui interpretazione, come si è visto, contrastava con la Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, ha confiscato l’area adibendola a parco pubblico e chiedendo persino alle ditte proprietarie (quelle assolte) di pagare i costi per l’abbattimento e per la rimozione delle macerie.
E tutti lo ricordano ancora del tutto sordo ai consigli di quanti lo ammonivano di avere prudenza, ed a quanti gli suggerivano che i diritti privati non potevano essere ignorati. Eppure a un ex magistrato la sentenza della Corte di Cassazione che aveva stabilito la mancanza di responsabilità delle ditte costruttrici o di qualsivoglia persona o amministrazione, e le azioni giudiziarie in corso a tutela degli interessi di terzi, dovevano pur consigliare prudenza.
Anche ai profani, del resto, appaiono strane queste colpe materiali, attribuite a non si sa chi, ma che hanno prodotto effetti economicamente dannosi a chi aveva costruito con le carte in regola. Perché le carte dovevano essere in regola, se la magistratura nei tre gradi di giudizio “assolve tutti gli imputati perché il fatto non costituisce reato”.
Le domande che si dovevano porre, e che sarebbe bene porsi tuttora, dovevano essere quelle che ora ci poniamo:
-chi ha rilasciato le concessioni edilizie l’ha fatto legittimamente osservando le leggi o no?
-chi erano?
-perché non sono stati chiamati a risponderne, se la Cassazione stessa (che non ha individuato responsabilità di persone) ha stabilito con sentenza che la lottizzazione era “abusiva” e che le opere erano “abusivamente costruite”?
-dov’è la logica di tutto questo?
La morale è che, anche questa volta, come per la gestione fallimentare della Fondazione Teatro Petruzzelli, e come per l’altra questione resa famosa dalle “cozze pelose”, il sindaco di Bari riversa le responsabilità sugli altri, distrugge ricchezza e si sottrae alle responsabilità politico-amministrative, visti i danni riversati sulla collettività.
La sua, al contrario, è divenuta un’abitudine all’infallibilità. Il Sindaco Emiliano ha sempre ragione. A futura memoria dovrebbero dedicargli, non una strada, come si fa generalmente per un Sindaco, ma erigergli una statua con l’aureola: simbolo d’infallibilità.
Il problema, semmai, sarebbe sempre degli altri. Tutti incapaci!
Vito Schepisi
 

11 maggio 2012

La Democrazia in Italia non funziona

C’è più di qualcosa che non va nell’organizzazione dello Stato. 
Ciò che non funziona è certamente la gestione della democrazia. 
In uno Stato che apre la sua Carta fondamentale con “L’Italia è una Repubblica democratica …” (“… fondata sul lavoro” è un pleonasmo privo di significato. Vorrei vedere, infatti, una democrazia fondata sull’ozio! Ndr.), dovrebbe essere garantita la certezza dei suoi atti. 
La democrazia sicura, visibile e semplicemente fruibile dovrebbe essere la prima delle attenzioni dello Stato, con nessuno spazio per manipolazioni e brogli, con assenza di privilegi e con l’esclusione di interpretazioni e rigidità sospette o interessate. Eppure, per ogni cosa, ci sono carenze. 
Le lamentele e le denunce alimentano i dubbi. C’è un contenzioso per tutto. Troppo per non destare inquietudine. Troppi diritti sono ignorati. La Costituzione italiana è sfacciatamente mortificata a iniziare dal suo presupposto iniziale. Prevale la sensazione che l’abuso paghi e che la pratica del malaffare - diffusa nella vita civile, amministrativa e politica - sia persino tollerata. 
La democrazia in Italia non funziona a iniziare dai suoi atti più pertinenti: le consultazioni elettorali. Mentre negli altri paesi l’esito è quasi in tempo reale, in Italia si va sempre nel pallone. E le incertezze diventano dubbi e si aprono contenziosi i cui esiti non sempre garantiscono giustizia e certezze. La Giunta per le elezioni della Camera, ad esempio, nel 1995 (elezioni politiche 1994), ha preso atto di errori (4.614 schede arbitrariamente annullate nel collegio di Bitonto in Puglia), proponendo la rettifica. L’Assemblea della Camera, però, ha deliberato a maggioranza di lasciare a casa il candidato “eletto” (Trotti del Msi) e di confermare, invece, il seggio al “non eletto” (Nichi Vendola del Prc). Anche nel 2004 un cavillo giuridico impedì che i ricorsi innescassero la verifica dei voti per la Presidenza della Regione Puglia. 
Si parla tanto di legge elettorale, di ‘par condicio’, di trasparenza, di ruolo dell’informazione, di un servizio pubblico che sia pluralista e non lottizzato, di finanziamenti ai fogli di partito che garantirebbero l’articolazione del confronto politico. Tutto però si traduce in uno spreco enorme di parole e di risorse. Non resta niente. Tutto è riversato in una grande macina in cui si triturano il buon senso e la fiducia dei cittadini. 
In Italia si fa strada la convinzione che sia proprio la democrazia a far acqua. In questa realtà matura l’antipolitica e la furbizia di personaggi come Di Pietro e Grillo, o come Vendola e le sue “poesie”. Ci sono regole e ordinamenti da cambiare. Il Paese, dopo quasi 65 anni di Repubblica, resta nelle stesse condizioni in cui è nato. 
Dall’1 gennaio del 48, da quando è entrata in vigore la Costituzione, in Italia, però, è cambiato tutto il resto. E’ cambiato il sentimento del popolo, sono cambiate le attese della gente, le speranze, le opportunità, le condizioni sociali, persino gli spettri del passato sono svaniti. E’ cambiata la tecnologia. E’ cambiato il quadro di riferimento internazionale ed il sistema monetario. E’ cambiata l’area geopolitica di riferimento, e l’Italia ha anche delegato all’Europa alcune delle sue autonomie. E’ cambiata l’informazione, l’alfabetizzazione, la scolarizzazione, la comunicazione, lo stile di vita, la cultura, le aspirazioni, i gusti e la coscienza nazionale. E’ cambiata la morfologia del territorio. L’idea del multiculturalismo ha modificato usi e costumi e posto questioni nuove. Anche il concetto di famiglia ha ora bisogno di conferme. E’ arrivata l’era del “tempo reale” e siamo ancora con la burocrazia asfissiante. 
E’ cambiato tutto e noi siamo ancora con il bicameralismo e con i regolamenti arcaici di Camera e Senato. I governi devono ancora soddisfare i capricci dei piccoli partiti, anziché il mandato del popolo. Ed anche quel ruolo confuso del Capo dello Stato - che da garante del regolare svolgimento della democrazia, si trasforma in manipolatore politico - non trova la sua legittimità costituzionale. 
E’ così che si disperdono i valori e l’identità nazionale. Così perde spessore anche il dovere morale della lealtà verso il Paese. Abbiamo visto persino le Istituzioni infangate, fuori dall’Italia, per meschini calcoli politici. Abbiamo visto gli sciacalli portati sugli scudi per calcolo e opportunismo. 
Rischiamo così di vedere l’ideologia, il massimalismo e l’ingiuria diventare ancora una volta gli avamposti della violenza e dello sfascismo. 
Vito Schepisi

03 maggio 2012

Vendola non è più la più bella del reame


E’ durata tanto, ma anche l’intesa politica di Vendola con la Puglia è entrata in crisi.
La classifica per indice di gradimento dei governatori delle Regioni italiane, diffusa dalla ‘Datamonitor’, infatti, vede quello pugliese fuori dai primi dieci.
La classifica non si sofferma sulle motivazioni. Non si conosce ciò che ha lasciato insoddisfatti i pugliesi, ma le motivazioni si possono intuire: la principale è che, in passato, i pugliesi siano rimasti affascinati dal modo di esprimersi del loro Governatore.
Vendola non è mai semplice e diretto. E’ bizantino e lezioso: gli hanno persino affibbiato l’appellativo di ‘poeta’. E’ facile che in Puglia chiamino poeta chi vagheggia e vive un po’ fuori dal mondo reale. Chi ha letto le sue poesie, però, è rimasto un po’ come basito. Passando alla prosa, i suoi concetti appaiono più barocchi: si arrotolano attorno ai pensieri, saturi di figure retoriche, fino a disperdere sostanza e diventare incomprensibili, ma non per questo meno affascinanti e apparentemente spessi e profondi. Vendola, quando si esprime, appare come lo stereotipo satirico di se stesso, tanto da apparire, a sua volta, l’imitatore più fedele di Checco Zalone.
In Puglia, in passato, questa dote di leziosità lessicale è stata la sua carta vincente.
Per esprimere, ad esempio, contrarietà verso le scelte di altri, Vendola non illustra mai un pensiero diverso da contrapporre, ma esprime sdegno, piuttosto parla di sentimenti che sono stati sacrificati all’opportunismo politico dei suoi avversari. Mai, però, l’opportunismo della sua parte, benché nell’inchiesta giudiziaria sulla sanità sia emerso che la salute dei pugliesi sia stata usata per allargare, con l’uso delle nomine e degli appalti, il consenso politico della sua maggioranza. E’ un garantista a intermittenza, ed è senza remore e riguardi per chi gli attraversa il cammino.
La sua è stata una vita rivoluzionaria, fatta di pensieri e di azioni in cui persino la violenza è apparsa come una variabile indipendente, giustificata dalla presunta violenza morale degli altri.
Ogni vittoria politica, per Vendola è una sconfitta inferta alle forze reazionarie, impegnate, a far retrocedere le conquiste dei più indifesi, degli anziani, delle donne, dei bambini, dei diversi, dei diseredati, degli extracomunitari, piuttosto che le conquiste degli operai e dei braccianti sottratte all’egoismo e alla prepotenza padronale.
La Puglia è oramai una terra desertificata dal suo furore ideologico. Le imprese chiudono. I giovani scappano. Non cresce più niente, se non le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici a spese dei consumatori e dei contribuenti.
Per l’acqua bene comune si è battuto come un leone contro la presunta privatizzazione. I toni sono stati da crociata contro chi era accusato di voler affidare all’interesse privato un bene primario come l’acqua. Per il vero, era solo la partecipazione dei privati alle società di gestione, cosa che in altre regioni esiste da sempre. La legge abrogata, infatti, oltre a soddisfare una direttiva europea sulla gestione dei servizi pubblici, sarebbe servita agli investimenti, all’efficienza e a sottrarre alle derive clientelari, tipiche delle gestioni partitiche, un servizio prezioso come quello idrico. L’Acquedotto Pugliese è così ritornato sotto il controllo della Regione e le tariffe, invece di diminuire del 7%, com’era stato promesso da Vendola, sono aumentate, mentre, per gli investimenti, tutto è fermo per mancanza di risorse economiche. Chi si è battuto con lui non l’ha mandata giù.
Le ipotesi per spiegare la parabola discendente di Vendola girano, così, tutte attorno alle delusioni e al fallimento della sua proposta politica. Hanno certamente influito anche gli scandali della malasanità, come l’inquietudine dei giovani e delle famiglie, presi in giro dalle troppe parole su una Puglia migliore, che invece non c’è mai stata.
La Puglia e Bari si stanno risvegliando da un incantesimo. I cittadini si rendono conto di aver perso anni a rincorrere illusioni: emerge ora un quadro d’insieme che riporta tutto alla realtà dei servizi costosi e inefficienti, del malcostume, della recrudescenza criminale e delle “cozze pelose”.
Vito Schepisi     per l’Occidentale