14 marzo 2008

Una politica estera disgustosa

La politica si fa con i fatti ed i provvedimenti. Si fa anche con le relazioni con gli altri stati e con la partecipazione agli organismi internazionali che stabiliscono le regole della convivenza civile. Ci sono diritti e doveri per tutti. Mentre i diritti, però, vengono giustamente reclamati, ci sono popoli che sono inclini a non rispettare i doveri.
Ci sono realtà in cui gruppi militari e politici agiscono attraverso autonome gestioni, anche in azioni di guerra e di terrorismo e disattendono le comuni regole di civiltà. Ci sono stati in cui le formazioni terroristiche non sono ufficialmente riconosciute ma tollerate nell’indifferenza persino delle comunità internazionali. Non è un mistero infatti che ci siano paesi che di fatto tollerano, fomentano e persino finanziano il terrorismo.
Il diritto internazionale e la funzione dei consessi internazionali stabiliscono regole e comportamenti attraverso trattati e risoluzioni che in modo equidistante, quanto meno nei propositi, anche se spesso ingiusto ed accomodante, servono a gettare acqua sul fuoco nelle zone ad alta intensità di conflitto. Tra le principali regole ci sono quelle relative al ripudio del terrorismo ed alla sua incontrovertibile delegittimazione come forma di soluzione dei conflitti tra Stati.
L’Italia ha sempre rispettato i trattati, ha sempre fatte sue le risoluzioni, ha sempre agito per la pace. L’ha sempre fatto nella convinzione che la convivenza pacifica non possa essere solo una scelta di campo tra i contendenti, ma soprattutto un modo di riconoscere i diritti ed i doveri di tutti.
Nella storia d’Italia del dopoguerra per la posizione strategica del Paese, per essere sede di una delle correnti religiose più radicate del mondo, nonché per la consapevolezza di un profondo sentire del Paese nelle tradizioni, nella cultura, nella civiltà, nella storia del Cristianesimo, i governi sono stati indotti ad assumere posizioni di estrema prudenza. La cautela e la diplomazia, però, non hanno mai impedito di deflettere dai fondamentali principi di civiltà. Tra questi quello che la pace si ottiene con il dialogo e la buona volontà di ciascuno, senza pregiudizi, o steccati e senza finzioni, rispettando le ragioni di tutti: soprattutto di coloro che sono colpiti da atti di barbarie e di violenza.
Non si può parlare di pace e far finta di non vedere quando nelle città, tra la popolazione, nelle scuole, tra donne e bambini, negli autobus che portano a scuola e lavoro centinaia di persone, nei supermercati, nelle discoteche, per la strada, orridamente e senza alcun senso di umanità si sterminano persone inermi.
Non si può trattare con chi nelle stesse ore in cui ci si siede intorno ai tavoli delle trattative prepara attentati e lancia razzi ed ordigni tra la popolazione civile.
Ebbene da due anni in Italia la politica estera, soprattutto per il medioriente, ma anche in occasione di alcune votazioni all’ONU, come ad esempio per l’elezione di membri dell’assemblea permanente, con Prodi e con il Ministro degli Esteri D’Alema, è stata condotta in maniera diversa e distante sia dai partner europei che dalla tradizionale collocazione e prudenza italiana.
Ed è per questa ragione, pertanto, che la dichiarazione dell’ambasciatore d’Israele in Italia rilasciata ieri all’ANSA deve far riflettere, soprattutto in campagna elettorale perché l’ignominia abbia fine:
"Chi ci invita ad aprire trattative con Hamas - ha detto l’ambasciatore d’Israele in Italia, Gideon Meir all'Ansa - in effetti ci invita a negoziare sulle misure della nostra bara e sul numero dei fiori da mettere nella corona. Fino a quando Hamas non cambierà le sue posizioni e non accetterà le condizioni della comunità internazionale, chi invita ad un dialogo con quest'organizzazione terroristica in pratica blocca il negoziato tra Israele e Abu Mazen. Il fatto che il leader di quest'organizzazione terroristica si congratuli per queste posizioni non depone a favore di chi le sostiene - ha aggiunto il diplomatico israeliano, riferendosi all’apprezzamento espresso dal leader di Hamas, Ismail Haniyeh, per le dichiarazioni del ministro degli Esteri italiano – La pace - ha proseguito Meir - si fa sì con il nemico, ma con un nemico che desidera la pace e la convivenza dell'uno accanto all'altro. La posizione di Hamas è nota e non è cambiata. Non sono disposti a riconoscere il diritto di Israele ad esistere e non sono neanche disposti a parlarci. I loro leader continuano ad invocare la distruzione dello Stato di Israele. Gli inviti per un cessate il fuoco sono solo una fase del piano per completare il sogno di Hamas di distruggere lo Stato di Israele e di fondare uno Stato religioso fondamentalista musulmano tra il fiume Giordano e il Mediterraneo. E' un peccato - ha chiosato il diplomatico israeliano - che durante il giorno di lutto per gli otto ragazzi che sono stati uccisi nella scuola rabbinica in Gerusalemme c'è chi invita ad un negoziato con barbari e assassini".
Le politiche di pace si fanno assumendo fermezza verso coloro che disattendono la convivenza civile e non passeggiando a Beirut con dirigenti di hezbollah o sostenendo la politica guerrafondaia della Siria e asserendo il diritto dell’Iran di fornirsi della tecnologia nucleare, soprattutto quando questo Paese non fa mistero del suo uso… sul territorio israeliano.
E’ una ragione di più per auspicare la rimozione di questo governo ed il ritorno ad una maggioranza democratica e liberale che ci liberi dalle scorie e dai retaggi del veterocomunismo antiisraeliano ed antiamericano.
Vito Schepisi

1 commento:

Anonimo ha detto...

Con tutto il disprezzo politico possibile e immaginabile, lo preferisco pur sempre a Veltroni.
Quando è stato designato Ministro degli Esteri, la nostra politica estere era già svelata.
Ed in effetti non ci ha riservato sorprese.
Invece il Kennedyano che ha fatto carriera nel Pci e ha fondato il Pd, non è controllabile.